di Francesca Bottoli *

La Terra Santa è un Paese dai mille volti. Una prova? Una sera, nell’orto della Baby Jesus Guest House di Betlemme, dove ero ospite, sentivo in lontananza il richiamo alla preghiera del muezzin, costante, a tratti quasi lamentoso. Nello stesso momento mi arrivava il suono delle campane della vicina chiesa. I due suoni non si scontravano, anzi, sembrava avessero trovato un equilibrio.

Un momento di pace. Eppure per l’indomani era stata indetta la Giornata della Collera (non me ne vogliano gli arabofoni per la maldestra traduzione), in cui erano previste manifestazioni contro il muro di separazione tra Palestina e Israele. Anche questi sono i mille volti della Terra Santa: la famosa colomba di Bansky, disegnata su una delle lastre del muro; oppure le torrette di controllo e i checkpoint, da cui i soldati scrutano ogni mossa di coloro che vivono “dall’altra parte”. Un altro volto è l'immensa chiave che sormonta l’architrave della porta di ingresso del campo profughi di Aida, a Betlemme. Durante la visita a Badil Resource Centre, hanno spiegato che è un simbolo dei profughi palestinesi, che sperano di far ritorno alle loro case, un giorno.

Gerusalemme è il volto per eccellenza di questa terra, perché città Santa per le tre grandi religioni monoteiste, caleidoscopio di etnie, culture, profumi e sensazioni. Si passa agilmente dal suk arabo, fatto di strette viuzze in cui si vende un po' di tutto, al quartiere ebraico, dove le strade sono più ordinate, per arrivare infine al Muro del Pianto. Nel frastuono della piazza, fra turisti e pellegrini, i fedeli (specialmente Ebrei) si avvicinano al Muro, chiudono gli occhi, si estraneano da tutto ciò che li circonda e pregano. Ho trovato questa loro capacità di concentrarsi e di entrare in comunione con Dio assolutamente straordinaria.

La maggior parte delle istantanee che porto dentro di me sono legate all’esperienza di volontariato con bambini e disabili. Durante le mattine il servizio era diviso tra il campo scuola “Steps” della mitica Sister Ester, un luogo in cui il gioco era abbinato all’insegnamento del rispetto reciproco e all’integrazione, e il vicino asilo nido; mentre nei pomeriggi si prestava servizio presso i disabili, ospiti della casa delle Suore di Madre Teresa di Calcutta, oppure si visitavano realtà locali, quali ospedali, orfanotrofi o centri di ricerca.

Un’altra fotografia di questa terra dai mille volti è il primo giorno a Steps, la faccia dei bambini. Erano scettici, non ci conoscevano, alcuni di loro piangevano, perché non volevano lasciare i fratelli o i genitori. Non sapevo cosa fare, mi sentivo inutile, soprattutto perché tra me e quei piccoli c’era una grande barriera: non parlavamo la stessa lingua. Tuttavia ho capito di non essere inutile, quando, alcuni giorni dopo, tre fratellini sono corsi incontro a me e a Monica, di servizio a Steps. I sorrisi dei bambini sono internazionali, non hanno bisogno di una lingua franca. Sono onesta, non è sempre stato facile, alcuni erano molto vivaci e contenere questa loro esuberanza non è sempre stato semplice, però quando mi abbracciavano sapevo che avevo fatto qualcosa di buono.

Tra i volti della Terra Santa, ci sono i sorrisi dei disabili del Centro di Madre Teresa di Calcutta. Per molti di loro noi eravamo le uniche persone che vedevano all’infuori delle suore e di alcuni altri volontari, che li raggiungevano nel tardo pomeriggio. Cercavamo di farli muovere il più possibile, giocavamo a palla (“taba”, in arabo, è una delle poche parole che mi ricorderò per sempre!), disegnavamo e coloravamo.

Infine come non ricordare i bambini dell’asilo - Jasmina, Angie, Juliano e tutti gli altri. “Giro giro tondo” era il tormentone delle nostre mattinate, e l’ora X era quella di pranzo, quando iniziava il teatrino per farli mangiare. Ma che tranquillità vederli dormire: pura tenerezza!

Avevo deciso di candidarmi per il Charity Work Program per dare il giusto peso alle piccole e grandi difficoltà che riscontravo ogni giorno. Adesso che sono tornata, posso dire che ci sono riuscita. Grazie ai miei compagni di viaggio, Antonio, Eliana, Monica; pur non conoscendoci, i nostri quattro diversi caratteri hanno trovato un loro equilibrio, una loro chimica. Grazie al personale in loco di ATS, Melania e Vincenzo che non ci hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Grazie all’infaticabile Suor Caterina e al team del Cesi.

Come dicono in Palestina “yalla bye!”

* 24 anni, di Lovere (Bg), laureanda nella magistrale in Scienze linguistiche, profilo in Management internazionale, facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere, campus di Milano