Ivana Pais«La ricerca del lavoro non inizia il giorno dopo la discussione della tesi ma mesi, anni prima. Ci si prepara facendo». Nelle parole di Ivana Pais (nella foto a destra), docente di Sociologia economica all’Università Cattolica e blogger de La Nuvola del Lavoro del Corriere della Sera, è chiaro il senso di una trasformazione radicale in atto nel mondo del lavoro, che riguarda sia il momento in cui cominciare a cercare un’occupazione, sia i tempi per creare la propria attività.

«La tesi è un progetto che permette di inserirsi in un ambito professionale, specializzarsi e costruire reti professionali indispensabili per trovare lavoro» afferma la sociologa, che offre un “piccolo consiglio operativo” agli studenti: «Iscriversi ai gruppi LinkedIn o Facebook di riferimento per il proprio settore. Nei primi tempi meglio leggere le discussioni senza intervenire, per socializzarsi al linguaggio e alle modalità relazionali, poi si può iniziare a dare il proprio contributo. Se gestito con cura è uno stage in digitale: permette di osservare, imparare, conoscere e farsi conoscere».

Parlando di lavoro e di futuro, quali sono le trasformazioni sociali in atto e come coinvolgono le nuove generazioni? «Il focus della mia attività di ricerca è l’impatto della digitalizzazione. Il digitale sta introducendo nuove aree e figure professionali, sta trasformando processi tradizionali e sta anche portando alla scomparsa di attività in via di automazione. Un tratto che caratterizza le nuove generazioni è la difficoltà di accesso al mercato del lavoro e alle organizzazioni tradizionali ma – al tempo stesso – l’abbassamento delle barriere per la creazione di nuove attività e nuove imprese».
 
Dopo la laurea non c’è un lavoro che aspetta, ma un mondo in continua evoluzione. Molti dei lavori futuri stanno nascendo adesso, altri non sono ancora stati inventati. Come orientarsi? «Bisogna iniziare il percorso con la consapevolezza che il sentiero non è tracciato: allenarsi bene prima della partenza e dotarsi di attrezzature robuste ma versatili. Non bisogna rinunciare alla progettazione, al contrario: stabilire obiettivi e itinerari, per poi riprogrammare quando necessario. È importante avere dei modelli: persone e percorsi a cui ispirarsi. Non si tratta di restare su strade già tracciate ma di salire sulle spalle dei giganti».

Stiamo passando dalla knowledge economy, ad alto contenuto di conoscenza, a una creative economy, che richiede un elevato tasso di imprenditività e innovazione. Quale spazio può avere l’intrapresa personale? Ha ancora senso rimboccarsi le maniche? «Sempre di più. Siamo un Paese di imprenditorialità e imprenditività diffusa. Nel passato però l’impresa si ereditava o si creava dopo alcuni anni di esperienza sul campo. La novità oggi riguarda i giovani che stanno creando startup innovative e – al contrario di quello che si racconta - lo fanno nei loro atenei. L’università sostiene la creazione di impresa in modo informale: compagni di studi che sviluppano un progetto, diventano soci e chiedono un supporto ai loro docenti. Sempre più spesso gli atenei – tra cui il nostro – raccolgono questa richiesta e predispongono offerte formative e di supporto all’avvio di impresa».

Da anni lei scrive per il blog La Nuvola del Lavoro. Qual è il contributo della tecnologia e il valore degli ambienti social nel cercare, trovare, creare lavoro? «I social media stanno trasformando tutte le forme di incontro tra domanda e offerta. Nel mercato del lavoro cambia la produzione di informazioni, perché i candidati e le imprese possono raccontarsi con modalità molto più ricche di un annuncio di lavoro o di un cv; cambia la ricerca delle informazioni, in un mercato da sempre opaco; cambia la modalità di selezione delle informazioni, per la numerosità delle fonti a disposizione. Per i laureandi è importante usare questi strumenti per mettere in luce le proprie competenze, con attenzione a tutelare i dati sensibili».