di Monica Abbiati *

È stata la mia prima esperienza di volontariato in assoluto e non potevo chiedere di meglio. Avendo studiato arabo nella laurea triennale, ho scelto la destinazione in cui avevo la possibilità di praticarlo, la Palestina. Sono state tre settimane molto intense ed è difficile spiegare a parole le emozioni travolgenti che ho provato.

Ero già stata in un Paese arabo (Marocco) per studiare la lingua, ma ero entusiasta all’idea di vedere qualcosa di diverso, di conoscere più da vicino la realtà israelo-palestinese di cui tanto si sente parlare e di visitare un Paese così ricco e importante a livello storico/religioso.

Il primo giorno a Betlemme ero felicissima di essere nuovamente in un paese arabo perché c’è qualcosa nel suo popolo che mi attrae molto: le persone accoglienti e gentili, la lingua, il cibo. La prima settimana è stata, però, anche la più difficile perché noi volontari dovevamo ambientarci, comprendere dove ci trovavamo e chi avevamo di fronte.

La prima sensazione che si prova è quella di sentirsi inutili, perché tutte le persone che incontri se la cavano anche senza di te e, essendo solo di passaggio, una volta ripartiti, continueranno a farlo. Col passare dei giorni, ci siamo resi conto, però, di poter essere in qualche modo utili e poter dare qualcosa come l’umanità e l’amore. Ma soprattutto, di ricevere indietro tanto: credo che il volontariato serva molto alle persone che lo fanno per riscoprire la qualità, la genuinità e la gratuità dei rapporti umani.

Io e i miei tre compagni d’avventura, di mattina a turno, abbiamo lavorato in una scuola estiva con una sessantina di bambini dai 4 ai 12 anni e in un asilo nido dove aiutavamo le maestre a gestire e seguire i bambini più piccoli. Per quanto mi riguarda, queste sono state le esperienze più faticose, a causa anche della lingua palestinese molto diversa dall’arabo classico, ma le più divertenti perché i bambini si affezionano subito e non vedono l’ora di rivederti il giorno dopo per giocare ancora.

Di pomeriggio tenevamo compagnia a degli adulti disabili o seguivamo incontri formativi presso le associazioni/Ong locali per comprendere meglio il clima di tensione tra palestinesi ed israeliani. Nonostante le interessantissime gite guidate che abbiamo fatto in diverse città della Palestina (Hebron, Gerico, Gerusalemme), più si cerca di capire chi abbia ragione e chi abbia torto, chi siano le vittime e chi i carnefici, se ne esce solo più confusi di prima a causa della complessità della vicenda e della realtà, che non può essere ridotta a un solo punto di vista. Le uniche cose chiare sono l’evidente diversità della vita in Palestina rispetto a Israele e la persistente percezione del muro.

Nei giorni liberi, abbiamo avuto modo anche di visitare parti di Israele (senza purtroppo riuscire ad avere un confronto con gli Israeliani) e i suoi paesaggi naturali completamente diversi da quelli a cui siamo abituati. In questa esperienza ho scoperto la bontà che si può incontrare in certe persone, ho conosciuto la diversità che rende unico il mondo e assaggiato la bellezza che c’è nel volontariato.

* 25 anni, di Milano, secondo anno della laurea magistrale in Politiche per la Cooperazione Internazionale, facoltà di Scienze politiche e sociali, sede di Milano