di Fausto Colombo *

Un'occasione privilegiata quella che hanno avuto i 500 studenti di sei università milanesi (Statale, Cattolica, Bicocca, Bocconi, Politecnico, Iulm) ad incontrare Jovanotti lo scorso 15 maggio. 
Alla presentazione del tour estivo dell'artista in 16 spiagge italiane più Plan de Corones - il "Jova Beach Party" - nell'Aula Magna dell'Università degli studi di Milano si sono alternati sul palco sei docenti dei rispettivi atenei che hanno approfondito le sfide di questa nuova avventura.

Per l'Università Cattolica è intervenuto il professor Fausto Colombo, docente di Teoria della comunicazione e dei media e direttore del dipartimento di Scienze della comunicazione dello spettacolo, di cui riportiamo gli spunti offerti alla platea. 

Il ruolo dello spazio nei concerti (e viceversa)

Nella storia dei grandi concerti della musica rock e pop il ruolo degli spazi è sempre stato fondamentale. Woodstock e l’Isola di Wight, che hanno aperto la stagione di queste grandi manifestazioni, erano non-luoghi, che la musica ha vivificato e trasformato in spazi sacri per la celebrazione del suono, della condivisione e della vita.

A volte questi spazi, come gli stadi di Wembley a Londra e il Kennedy di Philadelphia nel caso del Live Aid, sono stati scelti perché già funzionali ad altri tipi di celebrazione (quella sportiva) e ridefiniti come luoghi musicali per alcune caratteristiche funzionali.
Infine, il concerto dei Pink Floyd a Venezia celebrò un luogo affascinante, rubandogli la magia per metterla al servizio delle note, ma anche stravolgendo una piccola città preziosa, ai limiti della coscienza ecologica.

La spiaggia come spazio

Le spiagge come luogo della musica, come ogni altro luogo, portano in sé significati preesistenti e si caricano di nuovi. Quando oggi pensiamo alle nostre spiagge pensiamo a luoghi di vacanza, ma per molto tempo, in letteratura, sono stati luoghi paurosi e misteriosi, da cui i cittadini e persino talora i marinai preferivano tenersi lontani. 
Solo dal Settecento la spiaggia è stata scoperta dai pittori, ed è poi entrata nelle pratiche del turismo, prima d’élite e poi di massa. Oggi addirittura pensiamo alla spiaggia come luogo da proteggere, messo a rischio dall’inquinamento, dal mare che si alza e le divora.

La spiaggia come confine

Oggi, le spiagge sono anche altro: sono il grande confine di una nazione incerta, spaventata, che vorrebbe fare delle proprie spiagge come dei propri porti grandi muri per impedire sbarchi non graditi, per sentirsi al sicuro da una minaccia misteriosa come quella del Grande Inverno di Game of Thrones. 
Per questo ho ancora nei miei occhi una scena che considero molto italiana: una barca che si avvicina a una spiaggia con sopra alcuni migranti che hanno tentato la fortuna in mare. La barca si incaglia a pochi metri. I naviganti sono atterriti, i bagnanti guardano, prima con curiosità, poi con preoccupazione. Poi uno si fa avanti, va verso la barca attraversando il bagnasciuga. Un altro lo segue, armato di un asciugamano. E poi un’altra e un altro ancora. E si tengono per mano o per gli asciugamani, e raggiungono l’imbarcazione, aiutano quei disperati così uguali a noi a scendere, ne accompagnano i passi fino alla spiaggia con gli ombrelloni, li fanno sedere, danno loro da bere e da mangiare. Ogni tanto mi immagino che quei migranti siano scomparsi in quella spiaggia, mescolandosi definitivamente e in modo indistinguibile ai loro salvatori: un confine che è diventato una grande porta aperta sull’umanità.

Un’opportunità

Dunque trasformare la spiaggia-confine con la musica significa riempirla di contenuti che trasformano il confine in un luogo di incontro e di scambio anziché in una barriera, e di questo c’è un grande bisogno oggi.

* Direttore del dipartimento di Scienze della comunicazione e dello spettacolo dell’Università Cattolica