Oltre 400mila vittime, circa 11 milioni tra rifugiati e sfollati, una stima di 14mila prigionieri deceduti per torture e di 121mila dispersi, il 70% della popolazione sotto la soglia della povertà. Sono solo alcuni numeri che raccontano, nell’ambito della questione mediorientale, una delle “più gravi tragedie umanitarie del dopo-guerra”: quella siriana. 

A snocciolare i dati di un Paese che prima del conflitto contava circa 23 milioni di abitanti, è stata Laura Mirakian, già ambasciatore d’Italia presso la Repubblica Araba di Siria dal 2000 al 2004, durante la lezione tenuta l’8 aprile agli studenti del corso di Storia e istituzioni del mondo musulmano della Facoltà di Scienze politiche e sociali, dopo l’introduzione della professoressa Elena Maestri.

L’ambasciatore Mirakian ha descritto il contesto internazionale, spiegando le ragioni del conflitto scoppiato nel 2011, le fasi della crisi, le frizioni in corso tra are di influenza e aree contese. Si è poi soffermata sulle modalità per pervenire alla stabilizzazione della Siria passando da una fase di “ribellione” a una di “restaurazione” tramite la salvaguardia dell’integrità territoriale, l’attivazione di un Comitato Costituzionale sotto l’egida delle Nazioni Unite (inclusivo di tutti i segmenti della società siriana), un periodo transitorio verso libere elezioni con monitoraggio internazionale, la decisione sull’impunità dei crimini di guerra e contro l’umanità, la ricostruzione materiale, la valorizzazione della componente femminile.

A chiudere la lezione è stata Marinella Fumagalli Meraviglia, già associato di Diritto Internazionale nella facoltà di Scienze politiche e sociali, che ha definito la Siria un Paese devastato. Nel suo intervento ha illustrato il percorso delle varie Conferenze relative alla soluzione della questione siriana, con il sostegno della comunità internazionale. 

L’ultima parte è stata dedicata alla questione dei rifugiati, vittime di palesi violazioni del diritto internazionale e umanitario a causa di omicidi, torture e utilizzo di armi chimiche. Non si contano infatti i siriani che sono stati costretti a lasciare le loro case per trovare rifugio altrove e poi in parte rimpatriati non nei luoghi di origine ma in altre zone, in base al criterio dell’appartenenza religiosa.