Una pandemia non l'aspettava sicuramente nessuno. Nemmeno, per quanto sempre pronti e educati, nelle aule e in tirocinio, a prepararsi a ogni “allerta”, i medici più giovani, particolarmente i neolaureati, in questa emergenza direttamente "in campo" senza dover sostenere l'esame di abilitazione. Abbiamo raccolto alcune delle loro storie


di Francesco Lombardi

La prima cosa che quest'emergenza si è portata via è stato il rumore. Casa mia era sempre un continuo via vai di persone, era quasi impossibile trovare pace. Dai primi di marzo invece, quando non lavoro mi rendo conto verso sera di non aver parlato con nessuno tutto il giorno. 

La mia vita è diventata, per certi versi, più semplice e ordinata. Mi sveglio presto, vado al lavoro, torno a casa, doccia, cena e dormo. In questa routine meccanica, le ore di lavoro sono aumentate a dismisura ma al contempo corrono più rapide. La paura di contagiarsi spesso è soffocata dalla concentrazione mentale per non sbagliare, accentuata dall'improvvisa promozione che ti rende di colpo totalmente responsabile del tuo lavoro. Mentirei se non dicessi che per certi versi è adrenalinico. 

La cosa peggiore è la solitudine di tutti, la distanza fisica che si traduce in lontananza comunicativa. Siamo soli noi, sono soli i pazienti, sono soli i parenti dei pazienti. Non mi ero mai reso conto dell'inadeguatezza di ogni mezzo di comunicazione per ottenere qualcosa di più che un surrogato di rapporto umano.

La particolarità di questo mestiere ti rende estraneo a quello che la maggior parte delle persone sta vivendo in questi giorni. Non fa parte della tua routine la noia, la stanchezza di far niente, i flash mob e le catene dei social. La tua esperienza di questa pandemia è assolutamente diversa e ti rende meno prono ad ascoltare le giustificate lamentele di tutte le persone intorno a te. Non mi appartiene la retorica bellica che sta impazzando su tutti i canali di comunicazione, non esiste alcun fronte, non esistono soldati, angeli, eroi. Sono tutti termini che ti espropriano violentemente della tua professionalità e della tua fatica, ti rendono vacuo ed etereo mentre rimani, e devi rimanere, sempre un professionista che fa il suo lavoro. Altrimenti vale tutto, si alimentano discussioni inutili e si nasconde dietro il sacrificio un lavoro che deve essere riconosciuto in termini di risorse e di dibattito. 

Da questa riflessione ho volutamente omesso il vissuto umano con i pazienti. Credo che certe cose non debbano uscire dal rapporto medico-paziente e dal segreto professionale. Basti sapere che certi giorni è veramente dura.


Terzo di una serie di articoli dedicati ai nostri medici in prima linea nella lotta al Coronavirus