«Se anche terminasse oggi la mia esperienza sarebbe piena di vita, ricca di esperienze memorabili». Andrea Monda, 54 anni, dal 18 dicembre 2018 è direttore dell’Osservatore Romano. Una sfida di non poco conto quella di assumere la guida di uno dei giornali più antichi al mondo e in un momento storico cruciale per la Chiesa cattolica e il dialogo interreligioso. Senza dimenticare il compito di dover raccontare il magistero di un pontefice, come papa Bergoglio, che ha rivoluzionato il modo di comunicare. Basti pensare ai suoi gesti, alle sue omelie quotidiane di Santa Marta, alle telefonate impreviste ai fedeli, ai suoi incontri storici, ultimo fra tutti quello di Abu Dhabi convogliato nel documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Neppure la pandemia ha vietato al Santo Padre di trovare modalità inedite di comunicazione: la sua immagine in una piazza San Pietro vuota e quelle sue parole - “Signore, non lasciarci in balìa della tempesta” - resteranno indelebili nell’immaginario collettivo.  

Direttore Monda, è trascorso quasi un anno mezzo da quando è alla guida dell’Osservatore romano, può fare un bilancio di questo inizio? «Si è trattato di un periodo molto intenso che nel nuovo ruolo che mi è stato assegnato ho potuto vivere stando nel vivo della “scena”, a fianco del protagonista. Il 2019 è stato un anno record per il numero dei viaggi papali, appena nominato mi sono trovato a Panama per la GMG e poi ad Abu Dhabi testimone dell’evento storico della firma del Documento per la Fratellanza Umana e poi in Africa e in Asia, dal Madagascar a Tokio. Due altri grandi eventi in Vaticano, il summit sugli abusi e il Sinodo per l’Amazzonia: momenti di grande intensità che rimarranno per sempre nella mia memoria. Il 20 dicembre 2019 mi sono trovato nel cortile del liceo Albertelli, la scuola dove esattamente un anno prima avevo tenuto la mia ultima lezione come professore di religione, con il Papa che dialoga con i miei studenti, non potrò mai dimenticarlo. È stata praticamente l’ultima uscita pubblica del Papa che nel 2020 ha dovuto bloccare tutta la sua attività a causa della pandemia. Nonostante questo è riuscito a rispondere alla grande sfida dell’emergenza sanitaria con un coraggio e una creatività straordinari, pensiamo soltanto al gesto del 27 marzo, la preghiera in piazza San Pietro vuota e bagnata dalla pioggia».

La storica testata che da tantissimi anni comunica ai cattolici nel mondo come ha saputo adeguarsi alle sfide del tempo? «Gli effetti della pandemia si sono sentiti in Vaticano e tra le altre cose da fine marzo abbiamo dovuto sospendere la stampa (ma tornerà presto) e proprio in questo periodo abbiamo sviluppato la nostra presenza nel mondo digitale. In particolare abbiamo rinnovato e potenziato il sito e creato una newsletter a cui ci si può iscrivere ricevendo il giornale quotidianamente e poi da qualche settimana abbiamo creato una App propria de L’Osservatore Romano che si può scaricare e consultare agevolmente. Stiamo ricevendo messaggi incoraggianti rispetto ai numeri di persone, nuovi lettori, che hanno scaricato la App. Uno dei giornali più antichi del mondo, è nato il 1° luglio del 1861, si muove al passo con i tempi e oggi sta fortemente potenziando la sua presenza in rete. È il minimo che si possa fare per un organo di comunicazione della chiesa cattolica che è essa stessa una rete, diffusa in tutto il mondo, mossa dalla sua missione che è né più né meno che comunicare una notizia, la Buona Notizia».

L’arrivo di papa Francesco ha segnato una svolta sul fronte comunicativo? È stato necessario ripensare la struttura del giornale, introducendo nuove rubriche in sintonia con i temi cari al pontefice? «Senza dubbio con Bergoglio ci troviamo di fronte a un grande comunicatore. Ogni suo gesto diventa un evento comunicativo. Questo richiede un’adeguata squadra di mezzi di comunicazione - il Papa ha istituito ad hoc il Dicastero della Comunicazione nel 2015 - sempre pronta a rilanciare la comunicazione dell’attività del Pontefice e della Santa Sede. Il Dicastero di fatto sotto la guida del Prefetto Paolo Ruffini e il Direttore Editoriale Andrea Tornielli, coordina tutti i mezzi di comunicazione della Santa Sede, dai più “antichi” come L’Osservatore Romano e la Radio Vaticana a quelli più recenti e oggi fondamentali come il portale Vatican News. L’Osservatore Romano, che fa parte eminente del Dicastero, ha introdotto alcune nuove rubriche perché, come ha detto il Papa, questo è “il giornale di partito, che offre chiavi interpretative”, ad esempio la rubrica “Ospedale da campo”, che riprende l’immagine che il Papa ha usato per spiegare la natura della Chiesa, una rubrica che raccoglie storie da quei mondi dove la Chiesa cura le ferite dell’umanità dolente. Un’altra rubrica è quella della “Cura della casa comune”, ispirata all’enciclica Laudato Si’, e un’altra ancora è quella dedicata al mondo della scuola e dell’educazione “#CantiereGiovani”, solo per citarne alcune».

In questo periodo di pandemia com’è stato concepito il giornale? È stato dato spazio a temi diversi rispetto a quelli analizzati in un periodo di normalità? «Certamente e non solo a livello di cronaca. Abbiamo dato vita a una serie di interviste che abbiamo voluto intitolare “Laboratorio - Dopo la pandemia” per cominciare a pensare al mondo “dopo”, iniziare ad immaginare come sta uscendo il mondo dall’emergenza e come lo vogliamo, cioè cosa stiamo imparando da questa pandemia. Abbiamo raccolto la voce anche di uomini impegnati in prima fila nel mondo, a partire dalle istituzioni politiche come Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU o la Ursula Von Der Leyen e David Sassoli in Europa, insieme alla voce di economisti, sociologi, filosofi, uomini di chiesa e anche poeti e artisti, persone cioè “visionarie” capaci di leggere i segni di questo tempo e offrire una direzione e una luce di speranza».

Dal suo osservatorio quali sono le sfide da affrontare a livello mondiale, in particolare sul fronte politico, economico, sociale… «Il Papa il 27 marzo ci ha ricordato che siamo tutti nella stessa barca e che nessuno si salva da solo. Questo vale dalla più piccola famiglia alla città alla nazione al continente. Pensiamo solo all’Europa: se non riscopre questo senso di unione e solidarietà, che sono i valori posti all’origine di questa fondamentale istituzione, allora accadrà proprio il monito che il Papa ha espresso a Pentecoste: peggio di questao pandemia è sprecarla».  

I giornali devono fare i conti con un continuo e drastico calo del numero dei lettori che preferisce “informarsi” con modalità completamente nuove rispetto al passato. Come sta affrontando il vostro giornale questo cambiamento? «Cercando di stare dove stanno oggi i lettori, sulla rete. A fianco de L’Osservatore Romano ormai da anni c’è il portale Vatican News che progressivamente sta crescendo. Oggi la comunicazione sta assumendo un significato di “testimonianza”, quando chi comunica si mette in gioco personalmente, con la sua faccia, la sua responsabilità personale, allora è una comunicazione vincente e convincente. Anche per questo L’Osservatore Romano sta dando molto spazio al racconto delle storie, le rubriche che ho prima citato, sono tutte basate sul racconto di storie, vicende personali, basate su esperienze di vita molto concrete. Dopo il Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni ho voluto creare una rubrica che esce il giovedì dedicata al Tema del racconto, anche qui grandi personalità si sono avvicendate per commentare le parole del Papa e riflettere su cosa vuol dire narrare storie, dialogare, comunicare nella contemporaneità».

Il papa le fa arrivare la propria opinione sugli articoli pubblicati quotidianamente sul giornale? «Sì, e ho potuto capire e apprezzare il fatto che il Papa legge il giornale con grande attenzione.  Più volte in diversi modi mi ha fatto arrivare il suo giudizio, per fortuna sempre positivo e incoraggiante, almeno finora».