La pandemia come «opportunità di cambiamento» per ricostituire un clima di fiducia in Unione eruopea, rafforzare l’integrazione tra gli Stati membri e costruire un’economia equa e sostenibile nei paesi più colpiti da Covid-19. Sono gli argomenti che hanno fatto da fil rouge al dibattito “L’Unione europea contro la pandemia di COVID: Mes, Bei e fondo ripresa”, nell’ambito del ciclo di incontri “Colloqui sull’Europa” promosso venerdì 22 maggio dall’Università Cattolica per offrire agli studenti un’occasione di confronto con le istituzioni europee. «È importante tornare a parlare di Europa in un momento come questo dove noi europarlamentari facciamo fatica a raccontare in Italia quello che l’Europa sta facendo, senza strumentalizzarla come spesso avviene nei dibattiti politici nazionali». È quanto ha detto Irene Tinagli, presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo, intervenendo al dibattito live sui canali social @Unicatt per raccontare il backstage delle decisioni europee.

«La discussione sull’Europa rimane centrale anche perché il sentimento dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni europee è cambiato», ha dichiarato il rettore Franco Anelli, nel suo saluto iniziale, mettendo in evidenza il clima diverso che si respira nei contesti europei anche solo rispetto a pochi anni fa. «Oggi si è cominciato a dover decidere e operare scelte tra ciò che è meglio e ciò che è meno bene, tra quali aspettative vanno privilegiate e quali temporaneamente vanno messe da parte. Ci sono decisioni difficili da prendere che pongono un problema di fiducia», ha aggiunto il rettore Anelli. «Ricostituire un clima di fiducia reciproco tra gli Stati che appartengono all’Unione europea è fondamentale: le prove dure della crisi finanziaria e della pandemia sono stress test fondamentali e se le istituzioni europee riusciranno a superarli ne usciranno rafforzate».

Del resto, ha fatto eco Claudio Lucifora, docente di Labor Econmics, che ha introdotto il dibattito, «questa crisi cominciata come “simmetrica” per tutti gli Stati europei rischia, in assenza di forti correttivi, di produrre effetti asimmetrici sui Paesi, alcuni dei quali già profondamente provati dalla crisi finanziaria del 2008».

Eppure la risposta dell’Europa alla pandemia c’è stata anche se inizialmente molti si sono lamentati della sua «lentezza». «Il Parlamento europeo non ha mai smesso di funzionare», ha spiegato Irene Tinagli, elencando tutte le misure messe in campo. «Siamo stati i primi a chiedere una modifica dello strumento del Mes, immediatamente attivabile con regole nuove». Si è poi mossa «la Banca centrale europea con il massiccio programma di acquisto dei titoli di Stato ma anche con il sostegno alla liquidità delle imprese attraverso un rafforzamento dei suoi programmi di rifinanziamento a lungo termine e con un abbassamento dei tassi per stimolare il sistema bancario a sostenere il credito alle imprese». Inoltre, «la Commissione ha allentato tutte le regole che potevano frenare i Paesi a rispondere all’emergenza», tra cui il patto di stabilità con l’attivazione dell’”escape clause”, la modifica del quadro di aiuti di Stato, una maggiore flessibilità nell’utilizzare senza vincoli tutti i fondi strutturali rimasti non spesi del vecchio bilancio, oltre a mettere in campo un pacchetto di 37 miliardi per affrontare questa prima fase di emergenza.

Ma l’Ue ha lavorato anche a nuovi strumenti europei. Per esempio, ha aggiunto Tinagli, quello di «riformare il Mes per creare al suo interno una linea di credito; Sure, un fondo finanziato con le emissioni di titoli per sostenere i programmi per le occupazioni; la Bei che ha messo in campo un pacchetto di sostegno fino a 200 miliardi». Tutte misure approvate nel giro di un mese dimostrando che anche gli «stati riluttanti si sono resi conto che era necessario fare passi avanti». Numerose le domande rivolte alla presidente dagli studenti e moderate dal giuslavorista della Cattolica Michele Faioli.

E il Recovery Fund, il Fondo ripresa? «Spetta alla Commissione europea elaborare una proposta che arriverà il 27 maggio». Nel frattempo non sono mancate proposte tra cui quella franco-tedesca che ha chiesto un Recovery fund dotato di 500 miliardi di euro. Secondo Tinagli, nella proposta franco-tesdesca c’è un «dato positivo in termini politici»: il fatto che la Germania, finora tra gli Stati più «titubanti» ai «meccanismi di solidarietà europea», facendo da capofila a tutti quei Paesi ostili a una maggiore integrazione, si sia staccata dai paesi più rigoristi e meno solidali per «appoggiare una proposta europeista, dando così un segnale alla Commissione eruopea che sta lavorando in questa direzione». Ci auguriamo, ha notato Tinagli, che la «proposta della Commissione sia ancora più ambiziosa in termini di quantità e di criteri con cui queste risorse verranno allocate». Ora, il dibattito da aprire resta un altro, ovvero «non solo su quanti soldi ci vuole dare l’Europa, ma come noi vogliamo investire queste risorse per far ripartire la nostra economia e per sostenere il nostro tessuto imprenditoriale».