Si tratta di una sindrome che genera angosce e sofferenza soprattutto fra i familiari delle persone che ne sono affette. È l’autismo, una condizione assai grave e diffusa resa celebre da film come Rain Man: lo scorso 2 aprile la giornata mondiale promossa dalle Nazioni Unite ha consentito di riaccendere l’interesse internazionale per situazioni vissute quotidianamente da chi sperimenta il calvario di un contatto impossibile, di una carezza insopportabile, di uno sguardo imperscrutabile da parte dei propri cari. Facciamo il punto con Maria Giulia Torrioli, docente di Neuropsichiatria infantile alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica.

Innanzitutto, cos’è esattamente l’autismo?
«È una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo biologicamente determinato, con esordio nei primi tre anni di vita. Vi sono in particolare tre aree interessate: quella dell’interazione sociale reciproca, quella della comunicazione di idee e sentimenti, quella dei comportamenti, degli interessi o di attività stereotipate».

Quali sono stati i progressi nella conoscenza di questa sindrome?
«Le conoscenze in merito al disturbo autistico si sono modificate in modo drammatico nelle ultime due decadi per quel che riguarda l’epidemiologia, le caratteristiche cliniche, le basi biologiche e in minor misura la terapia. Tuttavia, a circa 60 anni dalla sua individuazione da parte di Leo Kanner nel 1943, persistono ancora notevoli incertezze in termini di eziologia, confini nosografici con sindromi simili, diagnosi, presa in carico, evoluzione a lungo termine».

E si riscontrano peculiari distribuzioni geografiche o etniche?
«No, l’autismo non presenta prevalenze geografiche e/o etniche. È stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale. Presenta, viceversa, una prevalenza di sesso, poiché colpisce i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine. Per dare un’idea delle incidenze, sulla base dei dati attualmente disponibili la stima più attendibile sembra una prevalenza di circa 35-39 casi ogni 10.000 persone, associata a una prevalenza di circa 60 casi ogni 10.000 persone riferibili ai disturbi di spettro autistico (Asd), includendo quei disturbi che hanno solo in parte le caratteristiche dell’autismo».

Quindi è un fenomeno in aumento?
«I dati, confrontati con quelli riferiti in passato, hanno portato a concludere che, attualmente, l’autismo è 3-4 volte più frequente rispetto a 30 anni fa. Secondo la maggioranza degli studiosi, però, questa discordanza nelle stime di prevalenza sarebbe dovuta, più che a un reale incremento dei casi, a una serie di fattori come: la maggiore definizione dei criteri diagnostici, con inclusione delle forme più lievi; la diffusione di procedure diagnostiche standardizzate; la maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale; l’aumento dei servizi dedicati».

Che cosa di sa delle cause?
«Kanner, Asperger e numerosi ricercatori negli anni Sessanta e Settanta suggerirono l’esistenza di anomalie biologiche alla base dei meccanismi eziopatogenetici dell’autismo. Dalla fine degli anni Settanta il focus investigativo fu specialmente diretto verso eventuali cause genetiche, fino a coinvolgere, più recentemente, altri ambiti biologici. Nonostante tutto, le cause sono a tutt’oggi sconosciute».

Autismo e bambini: ci sono speranze di guarigione?
«Sebbene i disturbi dello spettro autistico siano generalmente considerati come irreversibili, in una recente review viene riferito che tra i bambini esaminati, il 3-25% di questi hanno modificato il loro inquadramento diagnostico, avendo “recuperato” un adeguato livello cognitivo e adeguate capacità sociali. È opportuno precisare che il termine ‘recuperato’ si riferisce a un bambino il quale abbia ricevuto una diagnosi di Asd, avendo presentato nel tempo un ritardo, un rallentamento e una inadeguatezza di sviluppo, e che abbia invece mostrato successivamente un percorso in direzione di uno sviluppo fisiologico nella maggior parte delle aree da questo interessate. Una diagnosi e un trattamento precoci rappresentano comunque indici prognostici favorevoli».

Cosa si sta facendo in Cattolica?
«Un campo di ricerca portato avanti anche dal nostro Istituto di Neurologia, in collaborazione con il Centro madre-bambino del Consultorio familiare dell’Università Cattolica di Roma, riguarda proprio la migliore comprensione delle caratteristiche ambientali delle famiglie di bambini autistici. Stiamo studiando soprattutto le interazioni diadiche e triadiche in un gruppo di 30 famiglie di bambini autistici. Questo non, come in passato, per cercare lì la causa dall’autismo; al contrario, per capire quali comportamenti possano facilitare il recupero di quei bimbi».