Non una giuria popolare ma un Giurì per la corretta informazione. Raccoglie in questo modo la provocazione di Beppe Grillo il professor Ruben Razzante, dopo le polemiche scatenate dal suo Blog.

«Quella di Beppe Grillo appare una proposta provocatoria» afferma il docente di Diritto dell’informazione alla Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica. «Per frenare la disinformazione e per tutelare più efficacemente il diritto dei cittadini ad essere informati si potrebbe pensare di istituire un Giurì per la correttezza dell’informazione, incaricato di vigilare sulle violazioni dei diritti della personalità e di assicurare pluralismo e rispetto del principio di verità. Un organismo snello e composto da esperti del settore e addetti ai lavori. Potrebbe occuparsi anche di tutta quell’informazione non prodotta da giornalisti e che sfugge alla giurisdizione dell’Ordine professionale e dei consigli di disciplina. L’idea di un tribunale popolare per la stampa è, invece, irrealizzabile».

È in atto un processo di delegittimazione della professionalità giornalistica, che vede la Rete come antidoto a un’informazione faziosa che tutela gli interessi di pochi? «Si tratta di una rappresentazione iperbolica della realtà. Non è vero che tutta l’informazione tradizionale sia al servizio del potere e che tutta quella online sia incontaminata e libera. Indubbiamente giornali e televisioni sono fortemente condizionati da commistioni con altri poteri, ma ci sono migliaia e migliaia di giornalisti che ogni giorno svolgono con impegno e perizia per la carta stampata e per l’ambito radiotelevisivo il loro compito di mediatori tra i fatti e l’opinione pubblica ed esistono tante bufale che circolano in modo incontrollato in Rete senza che sia possibile verificarne la veridicità e frenarne la diffusione».

Serve anche sul web quello che gli inglesi chiamano fact-checking. «È urgente introdurre più efficaci strumenti di riconoscibilità del lavoro giornalistico in Rete, affinché chi naviga in internet possa più agevolmente comprendere quando un articolo sia ispirato alla deontologia professionale, e quindi redatto da un iscritto all’Ordine, e quando invece sia stato scritto da un avventuriero o da un dilettante non sollecitato da criteri e parametri di eticità dell’informazione».

Chi è in grado di verificare la veridicità delle news nel flusso continuo dell’informazione? «Il nuovo Testo unico dei doveri del giornalista, entrato in vigore un anno fa, promuove i social network a fonti di informazione equiparabili a quelle ufficiali. Ciò sollecita un supplemento di responsabilità da parte degli operatori del settore, chiamati a discernere le notizie attendibili da quelle di dubbia fondatezza. Il primo controllo devono farlo, appunto, i giornalisti, tenuti a selezionare le notizie veritiere e di interesse pubblico da quelle fuorvianti e non vagliate».

E oltre ai giornalisti? «I colossi della Rete, pur non essendo editori, devono cooperare alla ripulitura della Rete da bufale e bugie, interagendo in maniera più puntuale con gli utenti e raccogliendo in maniera tempestiva le loro segnalazioni di notizie false. Il resto devono farle le autorità di controllo, nazionali e sovranazionali. Ritengo una buona proposta quella formulata dal Presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, di una rete di agenzie europee chiamate a combattere il fenomeno delle bufale in Rete. Infine, l’educazione digitale può mettere in guardia gli utenti dai pericoli di un utilizzo sbagliato e dannoso dell’ambiente virtuale».

Che ne pensa di posizioni come quella del medico Roberto Burioni, che su Facebook ha deciso di non rispondere ai commenti ingiuriosi dei non addetti ai lavori perché, come sostiene, la scienza non è democratica? «L’overdose informativa tende a saturare gli spazi dell’attenzione e ad azzerare gli spazi dell’approfondimento delle notizie. In Rete, tutti si improvvisano tuttologi e l’interattività costante tra gli utenti a volte promuove improvvidamente le opinioni a verità oggettive. Internet è una piazza virtuale all’interno della quale si trova di tutto e diventa difficile selezionare le fonti attendibili. L’omologazione di verità e opinioni è un rischio serio che va combattuto con la valorizzazione delle competenze giornalistiche e degli spazi di discernimento della verità dei fatti e delle cose».

Può ancora svolgere un ruolo importante il giornalista nella democrazia della Rete? «Gli incalzanti processi di disintermediazione sembrerebbero marginalizzare la professionalità giornalistica. Impera il luogo comune in base al quale basta saper scrivere e usare bene i social per essere bravi comunicatori. In verità, il valore aggiunto della professionalità giornalistica è ancora più imprescindibile nell’era dell’informazione globale. Solo applicando i principi della deontologia giornalistica, in primo luogo la verità dei fatti e il rispetto della dignità umana dei protagonisti delle notizie, è possibile alimentare il circuito virtuoso della democrazia dell’informazione e assicurare che i media siano effettivamente al servizio del pubblico».

L’Università Cattolica ha una lunga tradizione nella formazione di nuove generazioni di giornalisti. Di quali competenze devono dotarsi per affrontare un mondo dell’informazione così mutato? «Il ruolo di una Scuola di giornalismo come la nostra è quello di preparare gli aspiranti giornalisti a destreggiarsi al meglio nella complessità della realtà, facendo tesoro dei robusti saperi scientifici che cerchiamo di trasmettere loro e dei preziosi lavori sul campo che quotidianamente essi sono chiamati a svolgere nell’ambito delle attività di laboratorio. Categorie come amore per la verità, pluralismo delle fonti, rispetto del contraddittorio, tutela delle diversità e dei diritti della personalità devono far parte del bagaglio che, al termine del biennio, ciascuno studente della scuola di giornalismo deve portare con sé nel suo percorso professionale. Le competenze tecniche, ancorate a un solido patrimonio di valori, sono le carte vincenti del nostro Master in giornalismo. E il mondo mediatico continuerà ad apprezzarle».