Continua il dibattito aperto dall’articolo intitolato Scuola paritaria, non chiamatela privilegio, un percorso di approfondimento per sfatare molti luoghi comuni, comparare la situazione italiana con quella degli altri Stati europei, conoscere un mondo vitale e inclusivo, trovare soluzioni per dare vita a un sistema scolastico integrato e plurale


di Renato Balduzzi *

Gli ideologismi sono sempre duri a morire, alcuni poi sembrano davvero inossidabili. Crollano i muri, si afferma il mutuo apprendimento tra le culture, ma taluni steccati paiono invalicabili.

Pare a me, e da tempo, che sia questo il caso della ricorrente controversia sulle cosiddette scuole private e sull’ammissibilità di un concorso finanziario statale almeno per alcune categorie tra esse.

Si richiama l’inciso finale dell’art. 33, comma 3 (“Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”), dimenticando che in sede di dichiarazione di voto il proponente principale e gli altri sostenitori dell’inciso, opponendosi a quei democratici cristiani (Gronchi, in particolare) che ne sostenevano la possibilità di un’interpretazione estremistica, furono unanimi. Da Bianca Bianchi che sottolineò che con l’inciso “senza oneri per lo Stato” si voleva dire semplicemente che lo Stato non è obbligato, a Malagugini che affermò che la legge potrà validamente rimediare a letture estremistiche, al proponente principale Corbino che ne diede una lettura “autentica” nel senso che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato, a Codignola secondo cui esso non impedisce qualsiasi aiuto, ma si limita ad affermare che non esiste un diritto costituzionale a chiederlo.

Tuttavia non c’è verso, gli ideologismi non temono le proprie contraddizioni, e dunque, anche in questi giorni, assistiamo alla riproposizione di interpretazioni meramente letteralistiche (normalmente respinte dai medesimi autori in tutti gli altri casi) e al rifiuto, ugualmente anomalo, di un’interpretazione conforme ai principi costituzionali di pluralismo culturale e ideale, oltre che di sussidiarietà, come confermato dall’ultimo comma dell’art. 118.

Per contro, la migliore e più equilibrata dottrina costituzionalistica arriva a concludere che dall’art. 33, comma 3, si desume un divieto di finanziamento pubblico integrale della scuola non statale, ma che sono ammissibili forme di finanziamento in corrispondenza al mancato costo sopportato dallo Stato per l’iscrizione di un alunno in una scuola non statale in luogo dell’iscrizione in una scuola statale. In ogni caso, alle scuole non statali paritarie (quelle cioè che, ai sensi dell’art. 1, comma 2, della legge n. 62 del 2000, che “corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia”) dovrebbe essere riservato un trattamento a sé stante, in ragione proprio della loro appartenenza piena al sistema nazionale dell’istruzione e della circostanza (art. 1, comma 3, della legge citata) che esse svolgono un “servizio pubblico”.

Nei loro confronti, non per nulla, la Costituzione esige che la legge fissi diritti e obblighi coessenziali alla condizione di “parità” e, d’altra parte, sono ormai pacifici e incontestabili sia il ruolo che tali istituti svolgono nel nostro sistema scolastico, sia la considerazione peculiare che essi hanno da parte della giurisprudenza della Corte costituzionale.
Come si vede, vi è una sovrabbondanza di elementi che dovrebbe indurre il legislatore a trarre le conseguenze e a intervenire, senza esitazioni, per garantire la sopravvivenza delle scuole paritarie, nell’interesse del sistema nazionale di istruzione.

Riusciremo a superare, finalmente, gli ideologismi del passato?

Auguriamoci di sì.

* docente di Diritto costituzionale, facoltà di Giurisprudenza, campus di Milano


Terzo di una serie di articoli dedicati al sistema delle scuole paritarie in Italia