di Adriano Pessina *

Sul suicidio assistito c’è una vastissima letteratura bioetica e biogiuridica: non si sentiva l’esigenza di aggiungervi anche questo documento del Comitato Nazionale di Bioetica (CNB) “Riflessioni bioetiche sul suicidio medicalmente assistito” che, dopo ampia e interessante descrizione dei temi e dei problemi, presenta un capitolo dal titolo “Opinioni etiche e giuridiche interne al CNB”. Ebbene le “opinioni” sono tre: la prima raccoglie 11 firme e presenta le ragioni contro il riconoscimento etico e giuridico del suicidio assistito: la seconda raccoglie due firme ed è, per semplificare, una via di mezzo, anche se risulta contraria ad una legge che lo permetta; la terza, che raccoglie 13 firme, risulta favorevole, a determinate condizioni e con alcune cautele, all’introduzione di una legge sul suicidio medicalmente assistito. Poi seguono raccomandazioni generali condivise da tutti e alla fine tre Postille: una, a firma del prof. D’Agostino, che boccia il documento, le altre due, dei prof. Morresi e Mori, che aggiungono dettagli. 

Pur con tutto il rispetto per il lavoro svolto dagli autorevoli membri del Comitato Nazionale per la Bioetica, occorre dire che questo è un documento deludente, metodologicamente incomprensibile: ognuno potrà trovarci la posizione che più gli aggrada e si assisterà alla solita descrizione e semplificazione della contrapposizione tra firmatari “cattolici” (ignorando, con poco rispetto, la firma del prof. Di Segni) i contrari, e “laici”, i favorevoli.

In realtà, su questo argomento, l’alternativa è chiara, ed è fuorviante leggerla con categorie religiose e secondo il solito schema laici e cattolici: nell’essere a favore o contrari al suicidio assistito, sia sul piano etico, sia su quello giuridico, la differenza è data dal diverso peso che si vuole attribuire al valore morale e costituzionale della tutela della vita umana e al valore morale e costituzionale della tutela dell’autonomia personale. 

Questo è il nodo, che di fatto risponde all’alternativa tra un modello politico-culturale di stampo solidaristico e comunitario e un modello politico-culturale di stampo liberistico e individualistico.
Ritengo che esistano buone ragioni etiche e giuridiche per negare che esista un diritto al suicidio assistito, sia perché non esiste alcun diritto alla morte, sia perché il diritto costituzionalmente rilevante della tutela della vita, in particolar modo nelle condizioni di estrema fragilità clinica, psicologica, sociale e economica prevale sul diritto ad esercitare la propria autonomia quando questa si rivolge contro se stessa nell’atto della richiesta del suicidio. 

Alla Corte Costituzionale, lungo questa linea, si può rispondere, seguendo la logica costituzionale dell’art. 508, che condanna l’istigazione al suicidio, introducendo una pena differente per l’aiuto al suicidio, perché è evidente che si tratta di due situazioni differenti: ma in entrambi i casi, ciò che risulta importante, è mettere in evidenza che lo Stato non abbandona i propri cittadini alla morte, specialmente in quelle condizioni di estrema vulnerabilità a cui li può sottoporre la malattia. E del resto, va notato, l’unico punto di convergenza dei membri del CNB riguarda proprio il richiamo alle cure palliative e il monito al non abbandono delle persone malate. Se i membri del CNB fossero partiti da queste conclusioni condivise e le avessero rese operative nelle loro discussioni, forse il risultato sarebbe stato differente e meno disarticolato. 

Comunque, se si vuole seguire l’indicazione del CNB occorre tenere aperta la discussione perché è in gioco il concreto futuro dell’assistenza delle persone malate e il modello di società in cui vogliamo investire.

* Ordinario di Filosofia morale, docente di Bioetica, Università Cattolica del Sacro Cuore