Il valore del lavoro in agricoltura è un tema emerso con forza in questa fase di emergenza da Covid 19. È di questi giorni un’iniziativa importante del Governo in materia, anche se la soluzione di problematiche che cercano da decenni una via d’uscita, soprattutto con riferimento al lavoro stagionale, richiederà ulteriori passi.
Il decreto sulla regolarizzazione dei lavoratori, appena varato dall’esecutivo, si muove nella direzione dell’emersione del lavoro nero, e questo è un passo avanti importante verso la soluzione di uno dei problemi atavici del lavoro stagionale. Ma, secondo il professor Gabriele Canali, docente di economia agroalimentare della facoltà di Scienze agrarie alimentari e ambientali dell’Università Cattolica, il tema del lavoro in agricoltura, e in particolare del lavoro stagionale, con tutte le sue criticità, deve essere affrontato in maniera più complessiva e organica.
Professor Canali, partiamo dal decreto per l’emersione degli “invisibili” del settore agricolo. Quali sono i vantaggi evidenti per lei? «Intanto è molto positivo il più facile accesso a una condizione di regolarità di questi lavoratori, che sono già presenti in Italia e che, di fatto, sono coinvolti a pieno titolo anche nelle filiere agroalimentari. Questo limiterà forme di concorrenza sleale tra lavoratori di fasce deboli, perché è indubbio che la disponibilità di lavoratori non regolari e la loro necessità di lavorare comporti una pressione negativa anche sulle remunerazioni e sulla domanda di lavoro, creando uno svantaggio che colpisce anche i lavoratori italiani e i lavoratori regolari».
Bisognerà vedere quindi come verrà gestito concretamente questo processo… «I limiti del provvedimento potrebbero nascondersi nella provvisorietà di questo approccio e in eventuali resistenze nascoste tra le pieghe della fase attuativa di questo regolamento, che potrebbero limitare la fluidità del passaggio del sommerso a una situazione di regolarità. Nei meccanismi operativi potrebbe esserci la possibilità per alcuni soggetti, come gli intermediari della manodopera, di esercitare delle discrezionalità e questo non farebbe bene a nessuno».
Qualcuno lamenta il fatto che questa iniziativa parta in giugno perdendo di fatto tempo prezioso, almeno per alcune campagne produttive e di raccolta che sono già in corso. «È vero che l’emergenza manodopera in agricoltura si è sentita subito, in alcuni comparti, ma il fabbisogno maggiore si avrà nei prossimi mesi. Per questo guarderei agli aspetti positivi di un provvedimento che consente di aumentare la disponibilità di manodopera regolare in un momento in cui, nonostante tutti i tentativi, è emerso con chiarezza che la manodopera regolare oggi non è sufficiente per i fabbisogni del settore agricolo. Il tentativo di avvalersi dei disoccupati o del lavoro dei percettori di reddito di cittadinanza, non si è dimostrato sufficiente e i numeri ce lo dicono: l’offerta di lavoro italiano per le attività agricole è molto più limitata di quella di cui il settore agricolo ha bisogno».
Le difficoltà che si registrano nel mercato del lavoro agricolo, oggi accentuate dalla crisi da Coronavirus, spinge a una riflessione di più ampio spettro. «Il tema del lavoro dipendente e in particolare quello stagionale, saltuario e più precario, in agricoltura merita un’attenzione più profonda, in primo luogo da parte delle parti sociali. Ci siamo resi conto ora, durante l’emergenza, del fatto che forse i contratti disponibili oggi non diano sufficienti garanzie a tutti i lavoratori e le strutture disponibili non garantiscano in modo efficiente l’incontro tempestivo ed efficace tra domanda e offerta di lavoro. In queste settimane di frontiere chiuse, tutte le organizzazioni sindacali del settore agricolo si sono preoccupate di creare i propri siti e i propri sistemi per favorire l’incontro tra domanda e offerta: questo significa evidentemente che non c’è un sistema univoco efficiente disponibile; mi sembra che ciò sia anche frutto di una sottovalutazione della rilevanza del ruolo dei lavoratori stagionali in agricoltura».
Cosa si aspetta a breve? «Penso e spero che questa necessità accenda una luce e motivi un interesse nuovo da parte di tutte le parti sociali, imprenditoriali e sindacali, perché affrontino in modo nuovo il tema, al fine di identificare soluzioni che permettano di coniugare tutele per i lavoratori con la necessaria flessibilità operativa. Questa è la vera sfida che attende le parti sociali anche dopo il Covid-19».
Al contrario di quanto avvenuto nel settore agricolo, quello alimentare ha saputo riconoscere molto più e molto meglio, in questa fase, la centralità dei propri lavoratori dipendenti: molte imprese dell’industria alimentare hanno riconosciuto premialità straordinarie ai lavoratori che hanno continuato a lavorare per garantire l’approvvigionamento alimentare. Inclusi i lavoratori delle cooperative impegnati nella logistica interna alle aziende, ad esempio. Questa emergenza potrebbe essere una buona occasione per colmare questa distanza, nel libero confronto tra le parti e indipendentemente dai pur importantissimi interventi pubblici.