di Cinzia Bearzot *

Il 29 giugno 1995 san Giovanni Paolo II rivolgeva alle “donne del mondo intero” una lettera, in previsione della IV Conferenza Mondiale sulla Donna che si sarebbe tenuta nel successivo settembre a Pechino.

Leggere oggi questa lettera sorprende per la viva attualità della problematica che essa propone sul tema della condizione femminile. Partendo dal concetto biblico di cooperazione dell’uomo e della donna al disegno di Dio e di reciproco aiuto e sostegno, san Giovanni Paolo II tocca temi su cui vale la pena di riproporre anche oggi, perché ancora aperti.

Ne ricordo tre. Prima di tutto, la necessità di promuovere il ruolo della donna nel lavoro e nella famiglia in una prospettiva di conciliazione: si badi, san Giovanni Paolo II parla espressamente di una “necessità”, non di un semplice atto di giustizia. L’apporto specifico che la donna può dare in termini di competenza, di professionalità, di intelligenza, di sensibilità è visto dal Papa come insostituibile per la costruzione di una società più aperta, più accogliente e più umana; può essere interessante notare che tale apporto oggi è valutato anche in termini di vantaggio economico, giacché le società più avanzate, come è stato rilevato, sono anche quelle in cui la donna è maggiormente coinvolta nel mondo del lavoro e in cui le è meglio consentito di conciliare dimensione professionale e dimensione familiare.

In secondo luogo, la violenza contro le donne. Di recente (25 novembre) una giornata è stata dedicata a questo tema, di fronte all’escalation di violenza che colpisce le donne. Si tratta di uno dei risvolti di una società che parla molto di tolleranza, ma che resta intrinsecamente violenta e aggressiva, perché orientata più sui diritti del singolo che sui doveri e le responsabilità di ciascuno nella società: doveri e responsabilità che dovrebbero condurre a riconoscere un limite all’autoaffermazione di sé. Un limite che invece si fatica sempre di più ad accettare; e la frustrazione che ne deriva finisce spesso per esprimersi con forme di violenza contro chi non corrisponde alle proprie aspettative. Inevitabilmente questo tasso di violenza e di intolleranza generale, sia fisica sia morale, si rovescia sui più deboli: le donne, ma anche i bambini, gli anziani, i disabili, i “diversi” di ogni genere.

Infine, la necessità imprescindibile dell’educazione: solo l’educazione, infatti, può generare un cambiamento di mentalità, e quindi può costituire, assai più che la semplice rivendicazione, una risposta efficace alle questioni ancora aperte. Educazione al rispetto dell’altro e cultura delle pari opportunità possono realmente contribuire ad avviare il superamento della situazione di crisi in cui la nostra società si trova dal punto di vista delle relazioni tra le parti che la compongono.

Promozione, rispetto, educazione emergono da questa lettera come elementi cardine per realizzare un progetto di uguaglianza nella differenza, che corrisponda pienamente alla specificità di quello che il Papa chiama il “genio femminile”.

* Presidente del Comitato delle pari opportunità dell’Università Cattolica