Due dati confermano la condizione svantaggiata della donna nella società italiana: il livello dell’occupazione femminile, che colloca l’Italia negli ultimi posti tra i Paesi europei, e il ruolo ancora totalizzante che il lavoro domestico e di cura assegna all’universo femminile, con il 74% delle donne che dichiarano di occuparsi interamente della casa e della famiglia. Una situazione sicuramente peggiorata dall’emergenza Covid-19, che potrebbe tuttavia offrire l’occasione per un ripensamento radicale delle politiche pubbliche.

È quanto emerge dalla ricerca promossa da Laboratorio Futuro, l’osservatorio nato un anno fa per iniziativa di Istituto Toniolo e Università Cattolica, coordinato dal demografo dell’Ateneo di largo Gemelli Alessandro Rosina. Uno studio presentato e discusso questa mattina nell’ambito di un webinar moderato dalla giornalista Tiziana Ferrario e concluso dalla ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti.

Tre i punti di forza dell’ultimo decreto approvato dal Governo, secondo la ministra, che ne evidenzia bontà e rimpianti. L’investimento sull’educazione a tutto tondo, con 150 milioni di euro per i centri estivi: «Lo abbiamo fatto perché bambini e giovani sono stati privati del mondo educativo della scuola e le donne sono state caricate del lavoro di cura». I congedi parentali straordinari estesi a entrambi i genitori: «È un riconoscimento del diritto del minore ad avere accanto una figura di riferimento educativo». Infine, la norma sul diritto allo smart working nelle aziende private per uomini e donne: «È un modo per rendere armonica la dimensione di vita delle persone». 

Lo studio, condotto da Ipsos e presentato da Paola Profeta, docente di Scienza delle finanze all’Università Bocconi, mette in luce i dati negativi, aggravati dall’emergenza Covid, ma anche gli elementi con cui invertire la rotta. Il gap di genere emerge soprattutto nel mondo del lavoro, dove, oltre al basso livello occupazionale, troviamo anche una forte diseguaglianza salariale, con le donne più presenti nei lavori meno remunerativi, anche a livello dirigenziale. Eppure l’investimento in questo settore, come rivelano vari studi, dimostra che a maggiore occupazione femminile corrisponderebbe un aumento del Pil del +11%, con ricadute anche su una maggiore fecondità e su una crescita sostenibile. Le differenze di genere in questo ambito si traducono in quella che l’avvocatessa Manuela Ulivi, fondatrice della casa di Accoglienza delle donne maltrattate di Milano, chiama “violenza economica”, che è «terreno fertile per creare posizioni di dominio e sudditanza».

I dati parlano anche di un’istruzione terziaria in cui le donne laureate sono più degli uomini ma soprattutto nelle discipline meno remunerative: infatti solo il 17% delle italiane sceglie discipline Stem. La risposta in positivo, secondo il prorettore dell’Università Cattolica Antonella Sciarrone Alibrandi, oltre a incentivare questo tipo di studi tra le ragazze, è di valorizzare in modo adeguato a livello remunerativo professioni a maggioranza femminile, come per esempio il mondo dell’istruzione.

Il lockdown ha certamente peggiorato la condizione delle donne in relazione al carico della famiglia, del lavoro domestico e di cura, come abbiamo visto. Ma l’aumento di uomini a casa grazie allo smart working potrebbe modificare gli equilibri dominanti. Inoltre, se il 51% delle donne intervistate dichiara di essere contenta che il partner si occupi delle finanze famigliari, si intravvedono delle opportunità nel fatto che il 36,9% prenda decisioni da sola sull’uso del denaro (contro il 16,9% degli uomini) e il 46,9% chieda il consenso al partner (contro il 65% dell’altro sesso). 

Il professor Alessandro Rosina, coordinatore di Laboratorio Futuro, chiede di «utilizzare la discontinuità del Covid per cambiare strada. Non è solo una questione di diritti, è una questione di visione strategica del Paese mettere in campo tutte le sue potenzialità. Il limite dell’Italia è quello di non riuscire a mettere le persone in condizione di dare il meglio di sé, giovani o donne che siano». Secondo il demografo «le politiche pubbliche possono cambiare anche la cultura e la mentalità». Forse in questo settore, ribadisce la professoressa Sciarrone Alibrandi, «dobbiamo investire di più».

Se c’è qualcosa che manca, ha detto la ministra Bonetti, è l’obiettivo di fare delle politiche non solo assistenziali ma anche di promozione e di stimolo per cambiare la cultura. «Per esempio non possiamo scindere il tema della maternità da quello del lavoro. Bisogna riattivare una progettualità di cui l’Italia necessita. In questo il mondo femminile può esercitare una forza proattiva».


Per scaricare il rapporto completo della ricerca Covid: un paese in bilico tra rischi e opportunità Donne in prima linea vai al sito di Laboratorio Futuro