L’identità di genere è al centro di un percorso di formazione triennale proposto dalla Cisl al liceo delle Scienze umane "Colombini" di Piacenza, in collaborazione con la facoltà di Scienze della formazione della sede piacentina dell’Università Cattolica.

L'idea di realizzare questa iniziativa con i giovani è partita dai dati di una ricerca effettuata dalla sigla sindacale negli anni scorsi, in collaborazione con l’Ateneo, da cui emergevano alcuni fattori “di rischio”: una certa propensione verso modelli culturali discriminanti nei confronti delle donne e degli stranieri e, in generale, di chi appare diverso.
 
Da qui l’idea di proporre un progetto formativo di alternanza scuola-lavoro “Giovani e Genere”, per mettere a fuoco come la nuova generazione conosca e veda il “genere” nelle sue diverse sfaccettature e come possa "attrezzarsi" culturalmente per combattere e prevenire ingiustizie e disparità.

La professoressa Elisabetta Musi, pedagogista della facoltà di Scienze della Formazione chiamata a collaborare al progetto, ha articolato il percorso - che si realizzerà lungo tre anni scolastici - in due temi: “genere e famiglia” e “genere e lavoro”.
 
«Il percorso di quest’anno, che ha puntato l’attenzione sulla differenza di genere in famiglia, si è articolato in tre segmenti formativi: alcuni incontri sono stati dedicati a esplorare il tema “La disparità tra uomini e donne, stereotipi e pregiudizi e il compito dell’educazione”. In seguito ragazzi e ragazze sono stati invitati a svolgere una ricerca bibliografica sul tema presso la biblioteca cittadina Passerini Landi. Infine si è discusso di cosa può succedere quando non si è disposti ad accogliere le differenze e i vissuti altrui attraverso due cineforum».
 
Accanto alla professoressa Musi, che ha curato il coordinamento e le lezioni rivolte alle ragazzi e ai ragazzi del Colombini, alcune studentesse della laurea magistrale in Progettazione pedagogica per i minori si sono occupate dei lavori di gruppo per calare gli stimoli teorici nella quotidianità.

Fin dal primo incontro, infatti, dopo la proiezione di alcune sequenze filmiche per introdurre la riflessione e stimolare il confronto, studenti e studentesse liceali si sono divisi in gruppi guidati da Katiuscia, Alice, Claudia, Federica, Sara, Flavia, di pochi anni più grandi di loro, ma già dotate di una formazione universitaria utile a guidare gruppi di lavoro.
 
«Questa vicinanza di età ha facilitato da subito narrazioni e affondi autobiografici» spiega la professoressa Musi. «I ragazzi e le ragazze hanno raccontato di incontrare spesso stereotipi e pregiudizi che limitano la conoscenza reciproca. Nei luoghi comuni, nelle aspettative dei genitori, nelle relazioni tra amici, persistono vecchi, limitanti luoghi comuni: ci si aspetta e si concede a un ragazzo di essere sportivo, razionale, persino 'rude', mentre le ragazze possono essere sentimentali, sensibili e in genere più complesse; un ragazzo che frequenta un corso di ginnastica ritmica viene guardato con stupore e curiosità, mentre a fatica si accetta che una ragazza possa desiderare di giocare a calcio o a rugby. Sono alcuni degli esempi portati dai liceali e che mostrano come vecchie rappresentazioni continuino ad abitare l'immaginario collettivo».
 
«I ragazzi hanno notato poi come non solo le pubblicità, ma anche i cartoni animati ricalchino spesso stereotipi e pregiudizi: dalla Disney alla Pixar, i personaggi femminili interpretano per lo più un medesimo copione. Anche i giochi vengono divisi in due categorie: quelli “da maschi” e quelli “da femmine”. Tutto questo, se riflette la realtà in cui da adulti ci si troverà a vivere, ne limita però anche le possibilità di cambiamento - prosegue Musi -. In famiglia, hanno poi raccontato, i figli maschi godono di maggiore libertà e sono meno coinvolti nei lavori di casa. Gli studenti hanno colto un’interessante corrispondenza tra i comportamenti vissuti in famiglia e quelli che vedono in coppie di giovani e adulti: le ragazze sono più protette, seguite con maggior apprensione e forse per questo nei rapporti di coppia accettano maggiormente atteggiamenti possessivi e ossessivi, che a volte possono poi degenerare».
 
A partire da queste considerazioni il percorso ha messo a fuoco atteggiamenti e comportamenti corretti o al contrario poco rispettosi nelle relazioni interpersonali e in particolare nei rapporti di coppia, per sensibilizzare ragazzi e ragazze a una maggiore attenzione all’uso delle parole e della comunicazione non verbale negli scambi amicali. «In fondo – ha ribadito la professoressa Musi – la trascuratezza per le differenze, in casa, come a scuola o sul lavoro, non si esprime solo attraverso clamorose scorrettezze né si manifesta in eclatanti ingiustizie, ma si insinua nelle relazioni attraverso quotidiani sguardi che umiliano, mezze frasi, allusioni o silenzi discriminanti che corrodono gli scambi fino a intaccare la percezione di sé, a inquinare le reazioni, ad abbassare il livello di sensibilità e accettazione. È lì: nell’implicito nascosto nella normalità che deve concentrarsi l’educazione».