di Adriano Pessina *

L’esistenza di Vincent Lambert, persona in stato di minima coscienza, è attualmente sospesa alle decisioni giuridiche che permetteranno o no la sospensione dei trattamenti di alimentazione e idratazione artificiale. A fronte di questa “vicenda legale” che coinvolge e muove affetti e preoccupazioni, dando luogo a dibattiti mediatici, la Nota congiunta emessa dalla Pontificia Accademia per la Vita e dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha messo in evidenza quali dovrebbero essere i criteri da adottare per assumere una decisione non soltanto formalmente corretta. Non basta definire “chi” abbia il potere di decidere - i genitori, i medici, i famigliari, i giudici - se non ci lasciamo interrogare su quali debbano essere i motivi da prendere in considerazione da chiunque abbia il diritto di decidere. 

Per meglio inquadrare il senso di questa Nota, è utile ricordare che di fatto riprende il pronunciamento del 1 agosto del 2007 della Congregazione per la Dottrina per la fede dal titolo “Risposte a quesiti della Conferenza episcopale statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiali”. Quel pronunciamento avveniva a due anni dalla morte di Terry Schiavo, che aveva coinvolto l’opinione pubblica mondiale, e che ha molte analogie con la vicenda giuridica attuale. 

Ora è interessante notare che due sono i criteri messi in atto dal pronunciamento del 2007 e ripresi dall’attuale Nota

Il primo è di natura clinica e si può riassumere in questi termini: laddove l’alimentazione e l’idratazione risultano efficaci, possono essere assimilati dal corpo del paziente e non gli provocano danni, non ci sono ragioni mediche per sospenderle. 
Da questo punto di vista - si può aggiungere - non è rilevante definire l’alimentazione e l’idratazione, attuate anche per vie artificiali, dei “trattamenti medici”, delle “terapie” o dei “mezzi ordinari”: il fulcro dell’argomentazione riguarda la proporzionalità e l’efficacia del mezzo rispetto al fine, che è, in questo caso, quello di garantire la vita della persona umana. Risulta evidente che l’alimentazione e l’idratazione artificiali non modificano, infatti, la situazione generale della persona, che resta in stato vegetativo, o di minima coscienza. 

Il secondo criterio, espresso dalla Congregazione riguarda un argomento che possiamo definire di stampo etico e intende rispondere a questa domanda: laddove, con una presumibile certezza, i medici ritenessero irreversibile la perdita della coscienza della persona in stato vegetativo, è legittimo interrompere alimentazione e idratazione artificiali? La risposta è negativa perché, si afferma, questa condizione non toglie la dignità fondamentale della persona umana, alla quale sono sempre dovute tutte quelle cure che risultano ordinarie e proporzionate alla sua condizione fisica. 

Questa impostazione ha, dal punto di vista filosofico, un grande rilievo perché, al di là dell’autorevolezza della fonte, mette in campo argomenti che non richiedono alcuna precomprensione religiosa. Il riferimento non è al concetto di “sacralità” della vita, ma a quello di dignità della persona umana e quindi si pone nel contesto di una categoria particolarmente cara all’etica cosiddetta “laica” del Novecento.

L’attuale Nota introduce due ulteriori elementi di riflessione: il rischio che prevalgano il criterio della cosiddetta qualità della vita - che è solitamente pensato in termini di soggettiva valutazione del valore dell’esistenza - e quello, politico - sociale, legato alla “cultura dello scarto”. In una società della prestazione, dove il valore dell’umano è posto nell’efficienza, risulta difficile apprezzare, valorizzare e tutelare coloro che, per malattia, età, condizioni sociali rischiano di essere considerati un “peso”, un “fardello” ma, anche, un monito profetico nei confronti dei sani. 

In questo momento storico, la drammatica vicenda umana di Vincent Lambert, ci richiama non soltanto a un supplemento di riflessione, ad una passione umana attenta, ma anche alla concreta traduzione del riferimento ai valori e ai principi etici in concrete politiche di sostegno, economico, culturale e sociale di coloro che, famigliari, amici, operatori sanitari e medici, si prodigano nel garantire un’assistenza che sia sempre all’altezza dell’intrinseco valore della persona umana, specialmente in tutte le condizioni in cui rischia di essere abbandonata alla sua fragilità. Nella circolarità virtuosa tra il prendersi cura degli ammalati e di chi li cura, si gioca anche una nuova prospettiva culturale, capace di farsi carico delle più estreme e anche misteriose condizioni di radicale disabilità, come quelle delle persone in stato vegetativo o di minima coscienza.

I tempi lunghi della malattia hanno bisogno di essere riqualificati e riabilitati presso un’opinione pubblica spesso frettolosa nelle sue valutazioni e nelle sue conclusioni. Le questioni giuridiche non debbono mai farci dimenticare che in ogni scelta che avalliamo o che biasimiamo ne va anche della comprensione della nostra personale umanità. 

* Ordinario di Filosofia morale, docente di Bioetica