Il mondo guarda con apprensione al caso Vincent Lambert nel giorno in cui i medici hanno avviato l’iter per interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiali. Ma proprio in queste ore la Corte d’Appello di Parigi ha ordinato la ripresa delle cure. L’uomo di 42 anni è in stato permanente di minima coscienza da quando ha avuto un incidente stradale nel 2008. Su questa situazione controversa che vede i pareri contrastanti della moglie e dei genitori del paziente, abbiamo sentito il professor Massimo Antonelli, direttore del Centro di Ateneo di Bioetica e Scienze della vita.

Professore, qual è la sua opinione sul caso Lambert? «Innanzitutto sottolineo l’importanza fondamentale dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente che non deve mai essere abbandonato. Il rispetto per la persona è essenziale e si dovrebbe rimanere fuori da strumentalizzazioni mediatiche o politiche. Data la delicatezza del caso sarebbe necessaria una maggiore tranquillità che diventa impossibile con il tam tam creato dai media».

Si può parlare di un caso di eutanasia? «Fatta salva la nostra convinzione che l’eutanasia sia una condizione da evitare in modo assoluto - intendendo per eutanasia ogni comportamento attivo volto a togliere la vita - possiamo ragionare sulla desistenza terapeutica, che interviene quando il paziente non ha più alcuna possibilità di migliorare e qualsiasi terapia risulta futile e le cure sproporzionate. È lo stesso capitolo quinto del Catechismo della Chiesa cattolica che sostiene che l’accanimento terapeutico non vada attuato».  

Come si può considerare il parere della famiglia? «La questione è delicata perché quando si stabilisce il piano terapeutico per un malato è necessario che ci sia una stretta interazione con la famiglia e, dove è possibile, con il paziente. Laddove non sia possibile perché il malato non è cosciente, come nel caso Lambert, la questione è molto delicata. La legislazione italiana prevede che il parente più prossimo, in questo caso la moglie, sia chiamata a interpretarne la volontà. Ma è chiaro che, se la situazione parentale è complessa, è necessario un confronto sereno che non è pensabile in una condizione di oppressione mediatica».

Cosa si intende esattamente quando si parla di nutrizione artificiale? «Le posizioni inerenti l’idratazione e la nutrizione artificiali sono dissimili tra la comunità scientifica e la comunità “laica”. In ambito cattolico queste vengono considerate come essenziali mezzi di sussistenza, mentre molti Ordini dei medici ritengono che siano strumenti terapeutici e che, come tali, possano essere interrotti».

Con quale atteggiamento è giusto porsi di fronte a situazioni come queste? «È difficile mantenere una linea di equilibrio e di bilanciamento rispettosa del malato e fondamentale è mantenere sempre il rapporto fiduciario con il malato e con la famiglia. Dall’esterno non si possono dare giudizi tranchant, data la delicatezza di queste situazioni, ed è importante evitare le strumentalizzazioni che invece sono in agguato quando il caso diventa mediatico e viene politicizzato. Vorrei aggiungere che sembra che la popolazione di questi pazienti sia molto larga e che riempia gli ospedali. In realtà questi malati non stanno quasi mai in ospedali per acuti  perché sono casi di lunga degenza e riguardano una fetta di popolazione limitata che a maggior ragione andrebbe trattata con delicatezza».