di Roberto Zoboli *

L’assegnazione del Premio Nobel 2018 per l’economia a Paul Romer e William Nordhaus segna il riconoscimento al massimo livello accademico di due programmi di ricerca a cui si è rivolto da tempo il lavoro di molti economisti: il ruolo dell’innovazione per la crescita economica e l’economia del cambiamento climatico. Tale scelta si discosta da quelle compiute negli ultimi anni, con l’eccezione del Nobel a Deaton nel 2015, che avevano premiato pionieri dei metodi e delle alte tecnicalità microeconomiche. Sia Romer che Nordhaus sono infatti macro-modellisti che, come indicano le motivazioni del Nobel, sono stati pionieri nell’integrare nuovi elementi nei modelli di crescita economica con ciò aprendo nuove linee di ricerca. 

Romer è stato il primo a introdurre in modo esplicito un meccanismo di creazione di nuova conoscenza nel modello neoclassico di crescita, che già era valso un Nobel a Robert Solow nel 1987, nel tentativo di dare una spiegazione ai differenziali di crescita tra Paesi. Dal contributo di Romer si è sviluppata la vera e propria ondata di studi sulla ‘crescita endogena’ degli anni ’90 e dello scorso decennio. Nordhaus è stato il primo a formulare un macro-modello integrato economia – clima, di impostazione neoclassica, che ha stimolato numerosi altri modelli integrati alla macro-scala, alcuni dei quali sono oggi ufficialmente utilizzati come supporto alle politiche globali ed europee per il clima. 

Tre elementi possono connettere i Nobel assegnati a economisti così diversi come Romer e Nordhaus. 

Il primo è il riconoscimento dell’importanza dei “beni pubblici” in senso economico (“non rivali” e “non escludibili”) e dei “meccanismi di esternalità” per i processi economici alla macro-scala, e cioè non solamente come “fallimenti di mercato” a cui indirizzare micro-politiche correttive. La generale natura della conoscenza come “bene pubblico” è centrale nel modello di Romer in quanto la conoscenza stessa non si esaurisce nell’uso, consente “rendimenti non decrescenti” e perciò crescita “sostenuta”. I principali modelli di Nordhaus riguardano una particolare forma di bene pubblico, cioè il sistema climatico, che si configura come un “global commons” caratterizzato, in assenza di politiche, da “non escludibilità” ma da “rivalità”, cioè da limiti e competizione nelle possibilità di libero uso da parte degli umani. Già riconosciuto come grande tema di “economia istituzionale” attraverso il Nobel ad Elinor Ostrom nel 2009, il tema dei “commons” si integra, nel lavoro di Nordhaus, con la crescita economica per individuare sentieri di sostenibilità che richiedono politiche di intervento più o meno intense. 

Il secondo elemento è che, attraverso il Nobel a Romer e Nordhaus, vengono riconosciuti indirettamente ampi programmi di ricerca, riguardanti il ruolo economico dell’innovazione tecnologica e delle risorse naturali, che non rappresentano programmi nuovi, o legati solo alle scuole di Romer e Nordhaus, e hanno invece una lunga e nobile tradizione - fin qui scarsamente riconosciuta dal sistema dei premi Nobel. Il ruolo economico dell’innovazione tecnologica è studiato dagli economisti almeno a partire dalle idee che Joseph Schumpeter ha elaborato tra la fine dell’800 e il 1950, originando quelle linee di “economia evolutiva” (“evolutionary economics”) che si concentrano proprio sui meccanismi dell’innovazione tecnologica e del suo ruolo per le grandi trasformazioni economiche. Parallelamente, l’interesse per il ruolo delle risorse naturali nella dinamica economica è riconducibile addirittura agli economisti classici, ad esempio Thomas Robert Malthus e David Ricardo, con una forte ripresa a partire dagli anni ’70 attraverso i modelli globali di “limiti alla crescita” voluti dal Club di Roma, modelli che già “integravano”, come quello di Wassily Leontief, le risorse naturali e ambientali nelle dinamiche complessive di popolazione e crescita economica. 

Ancora agli anni ’70 risalgono diversi modelli di crescita neoclassica ad opera, ad esempio, di Solow, di Stiglitz e di Arrow (tutti premi Nobel) che incorporavano le risorse non rinnovabili e l’irreversibilità delle decisioni su di esse. Una delle indicazioni fondamentali di questi, come di altri, modelli economici riguarda proprio il ruolo decisivo dell’innovazione tecnologica per affrontare i problemi di risorse naturali scarse. 

Questa saldatura tra ambiente e innovazione tecnologica è peraltro, in anni recenti, un sotto-programma di ricerca su cui lavorano diversi economisti. In sostanza, come accade talvolta nell’assegnazione dei Nobel, con Romer e Nordhaus vengono premiati economisti eccellenti e pionieri di modellistica che, tuttavia, rappresentano la punta dell’iceberg di programmi di ricerca molto più ampi ed eterogenei. Ma, non sorprendentemente, Romer e Nordhaus rappresentano questi programmi dal lato, e dentro i confini, dell’ortodossia delle scuole di economia statunitensi.

Il terzo elemento che connette Romer e Nordhaus è che i loro interessi centrali di ricerca corrispondono a due “grand challenges” in quello che Papa Francesco ha efficacemente caratterizzato come un “cambiamento d’epoca”. In questa fase storica, il ruolo pervasivo dell’innovazione tecnologica, di cui si enfatizza il carattere “disruptive” (automazione avanzata, intelligenza artificiale, robotica umanoide), porta con sé grandi speranze e nuove paure, come quella della disoccupazione tecnologica su ampia scala, o addirittura questioni antropologiche di possibile ri-definizione dell’umano rispetto a macchine sempre più umanizzate. 

Il cambiamento climatico viene riconosciuto come una minaccia globale, in un processo di crescente consenso planetario che vede fuori solo alcuni politici, capace di ri-unire Stati e attori sociali in uno sforzo di azione collettiva che ha ben pochi precedenti. Tale sforzo prevede, nello stesso Accordo di Parigi per il clima del 2015, anche un notevole sforzo di trasformazione dei sistemi tecno-economici in senso ambientale, con ciò realizzando un grande processo di innovazione “mission oriented”. In tale scenario, che ha sullo sfondo le coordinate di sviluppo (non solo di crescita) dettate dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e dai Sustainable Development Goals, e coordinate morali di vasta portata come la Laudato si’, vi è certamente un utile ruolo per i modelli economici, soprattutto quando siano “integrati” in ampi sistemi di conoscenza e di valori. 

* docente di Politiche economiche per le risorse e l'ambiente, facoltà di Scienze politiche e sociali, sede di Milano