«Una ragazza molto attiva, sempre con il sorriso e, talvolta, un po’ testarda. Un vero vulcano di idee e di progetti. Una persona instancabile, da sempre determinata nel raggiungimento degli obiettivi che si prefigge. E, su tutto, innamorata della vita». Si descrive con queste parole Ilaria Galbusera, 27 anni, una di quelle persone che permettono di dire che la meglio gioventù esiste ancora. 

Laureata in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo nella sede milanese dell’Università Cattolica, capitano della nazionale italiana volley femminile sorde, ha fatto della sua sordità uno stimolo per abbattere barriere e pregiudizi e ha trasformato lo sport nel più efficace degli strumenti di inclusione. Un merito che il capo dello Stato, Sergio Mattarella, non ha fatto passare inosservato, conferendole il prestigioso titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

Ilaria è cresciuta “tra due mondi”, quello dei sordi e quello degli udenti. «Sono nata da mamma udente, figlia di genitori sordi, e da papà sordo. In poche parole, è come se vivessi tra due dimensioni che, in realtà, confluiscono in una sola. Nonostante si tratti di mondi completamente diversi tra loro, per i modi di vivere, di percepire le cose, di comunicare, di provare emozioni, in un certo senso, queste differenze esistono e non esistono. Sono riuscita a integrarmi bene in entrambe le realtà e ho avuto la fortuna di poter godere di una formazione bilingue, perché parlo normalmente e, in più, conosco anche la lingua dei segni».

Hai imparato a convivere positivamente con un handicap che reputi sia percepito come tale molto più dagli altri che da te. Quando è scattata questa consapevolezza? «Ho imparato a convivere positivamente con il mio handicap col tempo. Dopo un’infanzia tranquilla, ho avuto un piccolo momento di crisi nel passaggio dalle scuole medie alle scuole superiori: sono entrata in un mondo completamente nuovo, i compagni non mi conoscevano e non sapevano come comportarsi con una persona sorda. Mi sono sentita per la prima volta diversa perché gli altri mi facevano sentire diversa. È stato un periodo difficile». 

Fino a che… «Fino a quando mi sono detta che non valeva la pena vivere a quel modo. Questa fase down mi è servita molto per imparare ad apprezzare quella che sono, nei miei difetti, nella mia diversità e anche nella mancanza di udito. Oggi vivo la mia condizione in modo estremamente positivo e, da persona ironica quale sono, ci rido su. Quando mi relaziono con gli altri, mi rendo conto che c’è ancora parecchia ignoranza sulla sordità e su come rapportarsi con le persone non udenti. L’handicap è percepito come tale molto più dagli altri che da me».

Dal 2007 fai parte della Nazionale italiana femminile volley sorde. In quali termini lo sport ti è stato d’aiuto nella vita? «Mi ha permesso di tirar fuori il meglio di me e di mettermi alla prova. Nello sport non esistono le diversità ed è l’occasione perfetta per unire le persone. Grazie a questo, ho stretto amicizie molto importanti, nate sul campo di pallavolo e, ancora oggi, presenti pur essendo sparse per l’Italia. Non solo: ho imparato a confrontarmi con gli altri e ho acquisito sicurezza nelle mie capacità, vedendo ragazze sorde pienamente realizzate e forti del loro talento. E iniziando a vedere la sordità come un limite superabile». 

Quali sono stati i traguardi sportivi che ti sono rimasti più impressi? «Il traguardo più bello in assoluto è stato la medaglia d’argento vinta alle Deaf Olympics, i giochi olimpici per le persone sorde. È stato indescrivibile, un’emozione che si capisce solo se se si ha la fortuna di viverla. Ed è stato speciale anche perché, per la prima volta, l’Italia intera si è accorta di noi». 

Hai studiato in Cattolica. Che ricordi hai della tua esperienza universitaria? «Ho ricordi bellissimi, amicizie solide, compagne stupende che mi sono state molto vicine. La mia esperienza universitaria non è stata semplice ma ci tengo a ringraziare il Servizio Integrazione Disabili dell’università perché mi ha accompagnato, con disponibilità e gentilezza, in tutto il mio percorso di studi, dagli inizi fino alla laurea. La scelta del corso di laurea in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo, poi, mi ha permesso di trovare il lavoro che più mi piace: oggi lavoro in banca, nel settore Ubi Comunità, che si occupa di investimenti che hanno a che fare con organizzazioni no profit».

Cosa significa per te il titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana che il presidente Mattarella ti ha conferito per aver utilizzato lo sport come strumento di inclusione? «Per quanto mi abbia fatto tanto piacere, continuo a pensare che, a 27 anni, sia davvero un riconoscimento troppo grande: ho fatto solo quello che amo fare e che mi rende felice perché credo davvero nella completa inclusione dei sordi nel mondo degli udenti attraverso lo sport. Ha dimostrato come, nonostante la sordità, si possa fare tutto: non la si deve vedere in alcun modo come un handicap ma come uno stimolo per affrontare le sfide della vita. Spero che questo riconoscimento possa aiutare bambini e ragazzi sordi ad accettarsi, proprio come ho fatto io, e sono felice di poter dire che, da adesso, la nostra disabilità fa ancora più rumore. E ha, finalmente, smesso di essere invisibile».