di Saverio Xeres 
prete della diocesi di Como, docente di Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica. Da “La Rivista del Clero italianon. 11/2017, Vita e Pensiero

Nel prologo del Vangelo di Giovanni - una delle pagine più alte, se non la più alta in assoluto, della Bibbia e della intera letteratura umana: dove la teologia si fa poesia e la poesia si nutre di vertiginose profondità teologiche - incontriamo il senso proprio del Natale, che costituisce la stessa insuperabile novità del cristianesimo: una pretesa che nessuno mai ha osato neppure immaginare. Ovvero che Dio si sia fatto vedere e conoscere di persona. «Nessuno ha mai visto Dio – scandisce Giovanni –; il Figlio unigenito che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato». 

Al centro del Prologo quelle poche, densissime parole che irradiano una luce nuova, fecondissima di pensiero e generatrice di vita: «Il Verbo si è fatto carne». O, nella ben nota espressione latina: Verbum caro factum est. Quel Verbum – malamente tradotto con “verbo” – significa semplicemente “Parola”. Ed è bellissimo sapere che, al principio di tutto, vi sia stata proprio una parola. Più ancora: che Dio stesso è Parola

Per quanto nell’utilizzo che ne facciamo umanamente, le parole abbia subìto un terribile logoramento, la parola rimane una facoltà meravigliosa: ci consente di ri-volgerci, ovvero di aprirci, all’altro. Parlare significa volgersi verso un altro; entrare in dialogo con una persona. 

In principio, dunque, ovvero all’origine e al fondo di tutto, sta questo atteggiamento di apertura, di disponibilità, che è Dio stesso: la Parola. Non uno strano essere solitario ma Qualcuno che cerca qualcun altro. E da qui nasce tutto: «Dio disse “Sia la luce”. E la luce fu» (Gen 1,3). «Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine”» (Gen 1, 26), ed ecco l’uomo e la donna, maschio e femmina, due e diversi, per riprodurre a loro volta l’originaria apertura all’altro da sé. 

Dio da sempre è rivolto verso l’altro da sé, ossia verso di noi. Di più: egli stesso ha posto di fronte a sé, suscitandolo dal nulla, quell’altro da sé che è il mondo, l’uomo, noi. Possiamo esprimere anche in altro modo questa apertura di Dio verso l’altro da sé, ed è ancora Giovanni a suggerircelo, in un altro suo testo: «Dio è amore» (1Gv 4, 8). In principio, dunque, era, anzi è, l’amore.

Proprio per questo, come dice la lettera agli Ebrei, dopo aver parlato molte volte e in molti modi, Colui che è la Parola divenne carne (cfr. Eb 1, 1-2). Divenne: con questa espressione (pigramente tradotta dal latino con «si è fatto») siamo di nuovo allontanati dall’idea di Dio come di un essere, lontano e statico: Dio diviene, cioè cambia, si adegua, viene incontro all’altro a sé. Non per opportunismo, bensì per restare fedele a quello che Egli è originariamente: Parola, apertura verso l’altro, amore. Quando si ama ci si parla, certo, ma poi presto si desidera condividere esperienze di vita, avvicinarsi e, infine, unirsi l’uno all’altro. E se già la parola esprime un desiderio, la carne palpita, freme, desidera unirsi alla carne dell’altro. E così anche Dio, la Parola, diviene carne, si fa uomo.

Non stiamo a chiederci se e come ciò sia stato possibile. La risposta, semplice e chiara, la dava già l’angelo a Maria, durante l’annunciazione: «Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1, 37). Se mai, proprio perché tutto è possibile a Dio, c’è da chiedersi come mai, tra tutto quello che poteva fare, Egli abbia scelto proprio di diventare uomo, e nel modo che sappiamo, ovvero in tutto simile a noi, nella debolezza, nella sofferenza e perfino nella morte. La risposta è sempre la stessa: perché Dio è amore e chi ama tende ad avvicinarsi, ad assimilarsi, a congiungersi a colui che ama.

Il Natale, dunque, è un fatto inedito che tuttavia si pone all’interno di una lunga, meravigliosa storia d’amore, iniziata prima del tempo e che giungerà al suo compimento solo quando la luce apparsa a Betlemme risplenderà senza più ombre. Altro, allora, non avremo da fare che vedere, contemplare, godere Colui che, se vorremo, ci avvolgerà per sempre in quell’amore con cui ci è venuto incontro fin dal principio.

* prete della diocesi di Como, insegna Storia della Chiesa al Seminario di Como e alla Facoltà Teologica di Milano, e Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica di Milano. La riflessione è pubblicato su “Rivista del Clero italiano” n. 11/2017, Vita e Pensiero 


Nella foto in alto: Anselmo Bucci e Francesco Nonni, presepe in maiolica, 1949. Opera esposta nei chiostri di largo Gemelli nella mostra di presepi d’artista promossa dalla Fondazione Crocevia