«In una società civile non si dovrebbe chiedere coraggio a un magistrato, se non quello delle decisioni che deve prendere». Con queste parole, il rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Franco Anelli, ha aperto il convegno, tenutosi martedì 12 marzo nella sede di largo Gemelli, dedicato alla memoria di Rosario Livatino, magistrato assassinato dalla mafia agrigentina il 21 settembre del 1990 all'età di soli 38 anni. Dal 2011, inoltre, è iniziato l'iter di beatificazione che si è concluso nel settembre dello scorso anno.

Nella prima parte dell'evento, tra i tanti ospiti, hanno spiccato le parole dell'arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini: «La mia riflessione non riguarda specificatamente la personalità di Livatino o il suo insegnamento. Il mio compito è quello di meditare sulla dimensione spirituale, sulla vocazione cristiana del giurista. Prendendo spunto dalla sua coerenza mi sono impegnato di riproporre una via alla santità del giudice. Ma quale può essere il suo percorso di santità? È un morire per risorgere. Me la sono immaginata come una discesa agli inferi dell'amministrazione della giustizia italiana che comporta questi passaggi: impressione soffocante di lavoro che incombe sul giudice, schiacciato dal lavoro che lo aspetta; smarrimento nella complessità nell'orientare un giudizio da una parte piuttosto che dall'altra; constatazione sconcertante della litigiosità di gente che magari prima si voleva anche bene; spavento per il male, di come le persone possano odiare, essere crudeli e il sadismo con cui le persone fanno del male; infine, il turbamento del giudice quando deve definire una pena perché deve essere equa».

C'è però un'altra faccia della medaglia, l'elevazione alla gloria: «Anche qui mi sono immaginato altri cinque passaggi» ha proseguito l’arcivescovo. Capacità di riconoscere la persona oltre al delitto, ovvero il giudice virtuoso è capace di applicare la legge, ma deve riconoscere la dignità della persona anche quando è condannata; il giudice non deve cercare l'approvazione del pubblico e della stampa ma deve agire per coerenza; cura per il bene comune (e quindi del convivere) e non per l'interesse privato; i diritti dei deboli e non l'arroganza dei potenti: qualcuno può permettersi difese migliori, e il giudice non deve farsi abbagliare ma essere alla ricerca della giustizia anche di soggetti più deboli; il giudice persegue la giustizia possibile e non l'utopia rivoluzionaria, fiducia che soltanto compiendo il bene possibile si pone il primo passo verso il bene desiderabile». «Seguendo il caso di Livatino – ha concluso monsignor Delpini - mi pare che il messaggio sia che tutti possono diventare santi, però questo comporta la discesa agli inferi e un innalzamento nella gloria di Dio».

La seconda parte dell'evento, invece, ha previsto una tavola rotonda incentrata sulle misure di prevenzione e i diritti fondamentali della persona, coordinata dal Sostituto Procuratore della Procura della Repubblica di Milano Adriano Scudieri, il quale ha così ricordato la figura del giurista siciliano: «Per la mia formazione, la figura di Livatino è stata fondamentale nella carriera avendo anche io lavorato ad Agrigento. Quando poi sono venuto a Milano, mi sono portato nel cuore l'idea di ricordarlo pure qua. Lui aveva capito che era giusto adottare misure di prevenzione, personale e patrimoniale, contro i mafiosi poiché per loro l'ostentazione della ricchezza serve ad accrescere il loro potere».

Il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, ha poi spiegato qual è stata l'impronta principale lasciata dal servizio svolto da Livatino: «Il suo apporto è quello di aver permesso alla Chiesa di sdoganare la lotta alla Mafia. Penso, ad esempio, al monito gridato da Giovanni Paolo II al termine della messa che celebrò 25 anni fa nella Valle dei Templi. Il processo di beatificazione, a mio modo di vedere, è rivoluzionario. Credo e ho sempre difeso l'impianto delle misure di prevenzione perché hanno consentito risultati eccezionali. La Mafia è stata ridimensionata grazie soprattutto a questo. A volte però sono uscite dal loro circuito originario, e lì hanno iniziato ad avere meno senso».