«Una politica lungimirante in cui lo statista non deve occupare spazi ma avviare processi costruttivi nella storia». È l’appello espresso dall’arcivescovo Silvano Tomasi, già Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra, a fronte di alcuni focolai di crisi sparsi per il mondo: la situazione del Venezuela, le violenze in Siria, il riemergere dei nazionalismi in Europa, i conflitti in Africa.

Monsignor Tomasi mercoledì 13 marzo era in Università Cattolica per presentare il suo libro dal titolo The Vatican in the Family of Nations. Diplomatic Actions of the Holy See at the UN and other International Organizations in Geneva (Cambridge University Press), nel corso di un evento promosso dal Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa.

Ad ascoltare le sue parole un’attenta platea costituita, oltre che da numerosi studenti e docenti, anche dall’assistente ecclesiastico generale monsignor Claudio Giuliodori, dai professori Eugenia Scabini e Francesco Botturi, dal direttore dell’Istituto Toniolo Enrico Fusi e da Anna Maria Tarantola, già presidente Rai e “alumna” Cattolica.

Un corposo volume, quello di monsignor Tomasi, che dà atto dell’attività diplomatica del monsignore presso le Nazioni Unite di Ginevra dal 2003 al 2016. E, nello stesso tempo, rende conto della diplomazia della Santa Sede da sempre rivolta alla pace, ai diritti umani, allo sviluppo, alla mobilità, all’educazione, alla cooperazione internazionale.

Del resto, la neodirettrice del Centro di Ateneo Simona Beretta, introducendo l’incontro, ha giustamente fatto riferimento al titolo del volume «la famiglia di nazioni», quale modello di società per tenere insieme il «sistema mondo».

La relazione di monsignor Tomasi è stata preceduta dagli interventi di Emilio Colombo, docente di Economia internazionale, e di Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica e di Storia e istituzioni dell’Asia, che ha messo in evidenza il ruolo della Santa Sede quale «contenitrice di empatia» nella missione internazionale ponendosi come elemento facilitatore di dialogo e incontro.

Ed è proprio su questo aspetto che ha fatto leva monsignor Tomasi illustrando l’attività diplomatica dei nunzi apostolici, con particolare attenzione al periodo che va dalla Rerum Novarum del 1891 alla Laudato si’ del 2015. Attraverso l’attività diplomatica dei nunzi apostolici la Santa Sede promuove la dignità dell’uomo, l’impegno per la pace, una globalizzazione giusta, con la forza del diritto, e non con il diritto della forza. È infatti indicativo che le rappresentanze diplomatiche siano passate dalle 73 del pontificato di Paolo VI alle attuali 183. «Il primo diplomatico è il Santo Padre attraverso il suo magistero di risonanza mondiale, i viaggi apostolici e gli incontri con i capi di Stato», ha osservato monsignor Tomasi.

La Santa Sede non è una potenza militare ed economica: a tal proposito si possono menzionare le numerose ratifiche di trattati e convenzioni su diritti umani e il disarmo.  «Le alabarde delle guardie svizzere non sono efficaci contro le armi atomiche», ha detto scherzando monsignor Tomasi. Inoltre, la Santa Sede è la seconda, dopo gli Stati Uniti, per numero di relazioni diplomatiche, e solo pochissimi Stati non hanno relazioni diplomatiche ufficiali, ma sono in contatto costante con il Vaticano: si veda il caso della Cina con l’accordo per le nomine dei vescovi. Anche perché è interesse primario dei vari governi mantenere vivo il dialogo con la Santa Sede la cui specifica missione resta solo una: essere strumento di giustizia, pace e solidarietà tra gli uomini.