di Mattia Pivato *

Web, case d’asta, valutatori e art advisor. Oltre che musei, restauro, turismo culturale. Sono le professionalità e gli ambiti nuovi che stanno emergendo nel settore dell’arte, un sistema il cui sviluppo è dimostrato dall’ampliamento della platea di appassionati e collezionisti che navigano il web a caccia di artisti e opere.

Marilena Pirrelli«Il fenomeno su internet è impressionante sia in termini di nuove piattaforme di scambio sia di offerta di nuovi servizi» spiega Marilena Pirrelli (a sinistra), giornalista di ArtEconomy24 – Il Sole 24 Ore, che insegna al corso di alta formazione dell’Università Cattolica Lavorare nel Mercato dell’Arte. Professioni tradizionali e nuove competenze (si veda a lato). «Questo crea nuove professionalità: Hiscox nel 2016 ha registrato un incremento del 15% a 3,75 miliardi di $ di scambi sul web, pari ad una quota di mercato dell'8,4% sul valore degli scambi generali rispetto al 7,4% del 2015, nonostante la contrazione dell’11% di tutto il mercato globale a 56,6 miliardi di $ (Clare Mc Andrew). Quindi sono in sviluppo tutte le professionalità del web e tutte le professionalità dei servizi collegati all’arte: nel 2016 gli occupati nel settore sono stati 3 milioni a livello globale con un incremento del 5% sull’anno precedente».

E in Italia? «Nel nostro Paese si è osservata una crescita delle case d’asta e quindi di esperti per ogni settore e di valutatori e art advisor. Naturalmente poi c’è tutto il comparto museale, del restauro e valorizzazione, e del turismo culturale che richiedono professionalità sempre più specifiche e capacità d’innovazione sul fronte della gestione e della proposta commerciale. Il pubblico nazionale e internazionale, in crescita nei musei e parchi archeologici italiani, è a caccia di esperienze e anche qui la digitalizzazione della narrazione artistica e culturale è un’attività che molte start up stanno già mettendo a fuoco. E poi siamo solo agli inizi, con alcune best practices, di una buona sinergia nella gestione tra pubblico e privato dell’asset culturale. Un campo nel quale, alla luce del vastissimo museo diffuso presente in Italia, dobbiamo sempre più accrescere le professionalità e profilare veri manager della cultura con competenze economiche ed artistiche».

All’indomani di importanti eventi fieristici nazionali e internazionali come Arte Fiera, Miart e Tefaf, quali sono i più significativi trend di mercato che si possono registrare con riguardo in particolare all’arte italiana? «Arte Fiera, Miart e Tefaf rappresentano tre appuntamenti a inizio anno molto diversi tra loro, con gallerie e opere esposte di differente valore e origine. Sicuramente le due fiere italiane hanno dialogato con un pubblico molto diverso da quello del Tefaf di Maastricht, che rappresenta l’eccellenza nell’offerta di arte antica, d’antiquariato e di arte moderna con un valore assicurato in fiera di oltre 3 miliardi di euro. Le opere portate dai 275 dealer hanno attratto 71mila visitatori. Certo rispetto al boom degli ultimi anni, gli organizzatori di Tefaf hanno saputo riequilibrare la ripartizione degli stand sull’onda di un sano ridimensionamento complessivo dell’offerta rispetto alle bolle speculative degli ultimi anni soprattutto nell’arte post war – specie su alcuni nomi come Castellani, Bonalumi e Scheggi quest’anno molto meno presenti dello scorso anno».

E le due fiere italiane, che impatto hanno avuto? «Arte Fiera, al giro di boa dei 41 anni, nonostante tutti gli sforzi della nuova direttrice Angela Vettese, non ha convinto: ha perso la sua importanza internazionale ed è divenuto un enorme contenitore nazionale a cui le gallerie straniere non partecipano più figuriamoci i collezionisti. Però rispetto al precedente anno la qualità artistica è migliorata e l’offerta delle 153 gallerie è apparsa meno congestionata tanto da attrarre 48mila visitatori».

E Miart? «La fiera firmata da Alessandro Rabottini ha acceso nel moderno i riflettori sul figurativo (Adolfo Wildt, Arturo Martini) oltre che sullo Spazialismo (Fontana, Castellani) e sull’astrazioni geometrica (Antonio Calderara), mentre nel contemporaneo sulle proposte internazionali. Ha attratto oltre 45mila visitatori con 174 gallerie, tra internazionali e nazionali di primo livello che hanno portato artisti italiani del calibro di Mario e Marisa Merz, Boetti e Rotella (Gladstone), Pier Paolo Calzolari (Marianne Boesky Gallery), Tancredi Parmeggiani (Lampertico) e poveristi come Claudio Piacentini, Gilberto Zorio e Claudio Pamiggiani (Galleria de’ Foscherari). Sono apparse ricche di spunti e rimandi le sezioni Generations e Decades. Insomma un inizio d’anno in cui la selezione della qualità e l’attenzione alla provenienza e al valore hanno fatto premio rispetto alla caccia allo status symbol».
 
In vista dell’ormai prossima inaugurazione della 57° Biennale di Venezia, quale posto occupa oggi l’arte contemporanea italiana all’interno del panorama internazionale? «Nella Biennale di Venezia la lista degli artisti italiani della mostra di Christine Macel è molto varia ed è composta da Salvatore Arancio (1974), Irma Blank (1934, tedesca ma vive a Milano), Giorgio Griffa (1936), Riccardo Guarneri (1933), Maria Lai (1919-2013) e Michele Ciacciofera, compagno di Christine Macel. Mentre al Padiglione Italia la curatrice Cecilia Alemani (compagna di Gioni) ha invitato Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey. I tre artisti nati in Italia tra la metà degli anni ‘70 e gli ‘80 sono emersi sulla scena artistica nazionale e internazionale dopo il 2000 con linguaggi molto diversi. Naturalmente qualsiasi riflessione sarebbe prematura, di certo la scelta di costruire un padiglione Italia più raccolto rappresenta già un impostazione decisamente curatoriale. L’arte italiana del resto riceve una grande attenzione dal mercato internazionale (le Italian Sale ottengono sempre ottimi risultati a Londra), naturalmente in prima battuta l’arte post-war, spazialista e poverista. Ma anche i giovani artisti sanno cavarsela, naturalmente tutto a loro spese, poiché il sistema formativo italiano non è in grado di lanciarli sulla scena internazionale. Quindi il prezzo da pagare per ottenere visibilità e spazi è lavorare all’estero con residence, premi o scuole così come molti loro coetanei, cervelli in fuga in altre discipline».

* coordinatore didattico del corso Lavorare nel Mercato dell’arte. Professioni tradizionali e nuove competenze