Può l’incedere dei social media e di internet diventare un elemento nocivo all’interno di una democrazia liberale? È possibile che l’inquinamento del dibattito pubblico e la sempre più evidente radicalizzazione degli slogan politici siano dovuti anche all’importanza raggiunta dal web nella comunicazione politica e, spesso, istituzionale dei partiti? Si può parzialmente spiegare in questo modo l’avvento al potere di Donald Trump o Boris Johnson?

Queste sono alcune delle questioni al centro del libro “Bubble Democracy” (Edizioni Morcelliana) di Damiano Palano, professore di Scienza politica alla facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore del dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Palano pone una questione di vitale importanza per le democrazie europee e occidentali. 

La traiettoria tracciata dal professore, infatti, descrive il passaggio – nel corso del Novecento – dalle folle (non ancora pienamente protagoniste nella vita politica del Paese) alle masse (blocchi inquadrati nelle strutture di partito, questi ultimi capaci di individuare e governare i sentimenti dell’opinione pubblica). Per poi arrivare alla «democrazia del pubblico» che, avvenuta grazie alla diffusione delle televisioni, nel secolo scorso erodeva progressivamente l’identificazione degli elettori con i partiti, ma continuava a garantire la stabilità del sistema grazie alla necessità dei leader di conquistare “l’elettore mediano” attraverso una moderazione dei loro messaggi. 

Infine, con l’avvento del ventunesimo secolo, si arriva alle «bolle» e allo «sciame». Scompare, infatti, il pubblico – soggetto eterogeneo ma che tendeva a rispondere agli stimoli della politica più o meno in maniera collettiva – e arriva l’individuo. Non vi è però un ritorno dell’individualismo liberale, ma, con l’avvento del digitale, si palesa la presenza di una massa che, però, è diversa da quella novecentesca. Essa è, invece, una collettività in cui ogni individuo vive nella sua “bolla” e che, a causa dell’inquinamento del discorso pubblico e dell’assenza di un corretto pluralismo, finisce per radicalizzare le proprie idee e, di conseguenza, polarizzare il dibattito. 

In questo senso, il professore di Relazioni Internazionali della Cattolica Vittorio Emanuele Parsi - che insieme ad Adolfo Scotto di Luzio, professore di Storia della pedagogia dell’università degli Studi di Bergamo, a Nicola Pasini, professore di Scienza Politica dell’università degli Studi di Milano e allo stesso autore ha dato vita a un’interessante tavola rotonda sull’argomento promossa dall’Aseri giovedì 21 maggio - ha citato come esempio la recente vicenda di Silvia Romano: «In quell’odio sembra di vedere la folla. Ma contemporaneamente, questo insieme di odiatori sono odiatori per singoli motivi. Non diventano mai niente di più di sé». 

«Con l’avvento della Bubble Democracy – spiega l’autore del libro – le persone sembrano andare verso gli estremi, abbandonando il centro. E i partiti si ritrovano costretti ad inseguire queste evoluzioni cercando di intercettare gli umori dello sciame digitale e delle varie bolle». È così, quindi, che il sistema rischia di diventare perennemente instabile, dato che ogni spinta alla polarizzazione è accentuata dalla ricerca – da parte dei partiti politici – del consenso sulla base di proposte ancora più radicali. Una corsa agli estremi, piuttosto che al centro, resa più caotica dalla volatilità delle preferenze elettorali e dalla disintermediazione della rete. 

Con l’avvento della pandemia da Coronavirus il pubblico è tornato sulla scena, sostituendo le bolle autoreferenziali. Sottolinea Palano che le persone «hanno improvvisamente abbandonato whatsapp per informarsi e hanno ripreso ad affidarsi a fonti autorevoli come i quotidiani». Nuove polarizzazioni, però, sono dietro l’angolo. E i partiti faranno ancora più fatica nella ricerca del consenso. «I partiti di massa novecenteschi – ha concluso Palano – avevano la capacità di costruire delle stabili identificazioni, mentre i partiti di oggi non riescono a fare queste cose, non riescono a invertire la tendenza della fluidità delle appartenenze. Questo è un punto importante che rende la società difficilmente organizzabile e difficilmente malleabile».