Continua il dibattito aperto dall’articolo dal titolo “Arrivano i robot”, dedicato a come l’intelligenza artificiale sta cambiando noi e il nostro modo di vivere e di pensare

di Mario A. Maggioni *

Spesso si attribuisce agli economisti il ruolo di “profeti di sventura” e si ritiene che si debbano occupare di robotica soltanto all’interno del dibattito sulla cosiddetta “disoccupazione tecnologica”, termine coniato da Maynard Keynes nel 1930, tema caro agli economisti classici fin dal 1821 anno in cui David Ricardo, discuteva degli effetti negativi sull’occupazione dell’introduzione di macchinari.

Più recentemente due economisti di Oxford – Carl Benedikt Frey e Michael Osborne – sono diventati noti al grande pubblico, nel 2013, grazie ad un lavoro in cui si mostrava che una serie di mansioni, attualmente riguardanti il 47% dell’occupazione totale negli USA erano, comparativamente, più a rischio di altre nel subire il processo di automazione. I due economisti non avevano formulato alcuna previsione sull’effettivo numero di posti di lavoro che si sarebbero persi a causa dell’avvento dei robot e dell’intelligenza artificiale, ma il messaggio diffuso, semplificato e distorto dai media, divenne: «La metà dei posti di lavoro negli USA rischia di essere sostituita da robot ed intelligenza artificiale entro il 2035».

L’approccio coltivato al Centro di ricerca in Scienze Cognitive e della Comunicazione (CSCC) da me diretto è, invece, di carattere micro e utilizza i metodi propri dell’economia comportamentale: una recente branca dell’economia – divenuta famosa presso il grande pubblico grazie ai premi Nobel attribuiti a Daniel Kahneman nel 2002 e, più recentemente, a Richard Thaler, nel 2017 – che cerca di analizzare il comportamento reale degli individui a partire dall’osservazione dello stesso, in contesti “sperimentali” controllati.

Per questo motivo, attraverso un finanziamento (D2.2) esplicitamente dedicato all’acquisizione di strumentazione scientifica, abbiamo acquistato due robot Nao, prodotti da SoftBank Robotics e stiamo conducendo delle ricerche sull’interazione uomo-robot, all’interno di un progetto di ricerca d’interesse d’Ateneo (D3.2) coordinato da Giuseppe Riva e dedicato allo studio delle interazioni uomo-robot, e nell’ambito della collaborazione con l’IIT, coordinata per il nostro Ateneo da Roberto Zoboli.

In particolare, in uno studio pilota – realizzato insieme a Domenico Rossignoli e Federico Manzi poche settimane fa e volto al “collaudo della procedura sperimentale” – abbiamo ottenuto alcuni primi interessanti risultati, nonostante la ridotta numerosità non consenta per ora di formulare alcuna conclusione definitiva.

I soggetti coinvolti – studenti delle lauree triennali della sede milanese dell’Università Cattolica – tendono a attribuire ai robot una capacità di comportamento adattivo attribuendo loro una piena intelligenza artificiale (forse anche perché la maggior parte delle conoscenze relative a questo fenomeno deriva da film e romanzi), considerano i robot più come alleati che come rivali/nemici dell’uomo e, posti di fronte a un robot che agisce come controparte in un gioco di fiducia, non si sorprendono che lo stesso possa reagire alle diverse situazioni generate dalle interazioni, esprimendo dispiacere o disappunto.

Siamo solo all’inizio: l’esperimento completo si svolgerà infatti nel prossimo anno accademico, ma fin d’ora abbiamo osservato come il rapporto tra gli esseri umani e i robot umanoidi differisca radicalmente dallo schema tipico dell’interazione uomo-macchina (quello per cui una macchina o “funziona” o “non funziona”, perché “è rotta”); invece si generano aspettative e interazioni tali per cui, ad esempio, a fronte di un comportamento imprevisto (o di un “errore”) e di una successiva “giustificazione” da parte del robot, i soggetti umani modificano decisioni e comportamenti.

* Docente di Politica economica nella facoltà di Scienze politiche e sociali, direttore del Dipartimento di Economia Internazionale, dello Sviluppo e delle Istituzioni (DISEIS) e del Centro di Ricerca in Scienze Cognitive e della Comunicazione (CSCC)


Sesto articolo di una serie dedicata a come l’intelligenza artificiale ci sta cambiando. Domani sarà pubblicato il contributo di Paolo Maria Rossini, docente di Neurologia all'Università Cattolica e direttore dell'Area neuroscienze della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli