di Roberto Italia *

Sono passati un paio di giorni dal mio ritorno in Italia. Se è stato difficile partire e adattarsi a un nuovo Paese, lo è ancora di più tornare alla vita di tutti i giorni e fermarsi almeno per un po’ di tempo. Sono partito da Milano con parecchi dubbi e due valigie, sono rientrato con tre e un’infinità di ricordi e di immagini, dopo aver quasi perso l’aereo. Forse inconsciamente lo volevo proprio perdere. 

Scorro le centinaia di foto di quest’esperienza sul mio cellulare per sceglierne una veramente rappresentativa, ma mi risulta impossibile. Apro i regali e leggo i messaggi ricevuti prima di partire: del cioccolato polacco, una stampa giapponese, una lettera in spagnolo, una targa del Capodanno cinese. Mi “fiondo” subito a cercare un biglietto aereo conveniente per tornare a Gent (Belgio) prima possibile. 

Il Belgio è la meta ideale per uno studente Erasmus: una piccola terra, dove la percezione delle distanze è notevolmente ridotta rispetto ad altri Stati europei, le lingue ufficiali sono tre, si parla inglese alla perfezione e la gente si sposta da un Paese all’altro in poco tempo e in giornata. Insomma, è la rappresentazione di cosa ho vissuto nelle cucine della residenza universitaria e alle feste Erasmus. 

Sorprendentemente sconosciuta ai molti, me compreso prima di sceglierla come possibile destinazione, Gent è una città meravigliosa delle Fiandre Orientali: indimenticabili le tre torri, quasi quattro, che svettano nel suo centro storico, il Graslei e il Korenlei, i canali d’acqua e i fiumi di birra, l’esercito di biciclette e di studenti, la famigerata Overpoort, gli angoli nascosti e colorati delle vie interne che nemmeno dopo diversi mesi sono riuscito a scoprire completamente. Non è un caso che Gent sia soprannominata “Europe’s best-kept secret”.

Cinque mesi di Erasmus ti cambiano, ti segnano dentro (anche fuori!) e ti rendono irrequieto all’idea di quanto ci sia da esplorare nel mondo. Mi sento fortunato ad avere avuto una possibilità del genere, una sfida personale bellissima da affrontare sul piano universitario e soprattutto su quello umano. Si vive tutto al massimo e ci si mette in gioco come non mai. Ho imparato che non si scherza con le ragazze dell’Est Europa quando si è nello stesso gruppo di lavoro, mi sono innamorato della Delirium Tremens belga, dell’hot pot cinese e del caffè turco, ho apprezzato le differenze nel modo di relazionarsi tra Europei e Asiatici, l’incapacità di pronunciare correttamente i nomi delle persone neanche al centesimo tentativo e la bellezza di trovarsi in mezzo a una conversazione in qualche lingua sconosciuta cercando di coglierne l’argomento. 

Per quanto le diversità abbiano generato a volte incomprensioni, sono state magneti per la mia curiosità e la voglia di venirne a capo ha sempre prevalso. In fin dei conti un giovane italiano, un australiano, uno spagnolo, un sudcoreano, un olandese, un giapponese, uno slovacco, un indonesiano, un francese, un indiano, un bielorusso, un taiwanese, uno sloveno, un ecuadoregno, un belga vogliono tutti conoscere, viaggiare e assaporare i piatti tipici, condividono gli stessi interessi, gli stessi problemi, soprattutto durante la sessione di esami, e gli stessi sogni. Quando tutto finisce e si torna a casa, si capisce il valore e l’unicità di quei momenti. E la smania di muoversi sale e sale ancora, perché mi va.

* 23 anni, di Verona, corso di laurea magistrale di Economia, facoltà di Economia, campus di Milano