di Francesco Subba *
È stata una delle scelte migliori della mia vita. Presentando la candidatura al Charity Work Program ho potuto sfruttare una delle più grandi fortune che è stata regalata alla nostra generazione. Ho sempre amato viaggiare, scoprire nuovi luoghi e differenti culture e ho sempre desiderato poter vivere avventure sempre diverse. Come quella che ho potuto vivere l’estate scorsa in Perù, nella foresta amazzonica.
Il mio racconto comincia a Malpensa. In quest’aeroporto conosco Marco e Simone, i miei due compagni d’avventura. Iniziamo a socializzare tra un volo e l’altro, e dopo un viaggio durato più di sedici ore arriviamo finalmente a Lima. Ci accolgono i responsabili della Ucss, l’università che ci ospiterà durante il nostro soggiorno in Perù e, con altri volontari italiani, facciamo un “piccolo” giro della città: scopriamo la sua grandezza, assaporiamo la sua bellezza e ne comprendiamo la caoticità solo per alcune ore perché, stanchi dal viaggio, decidiamo di andare a riposare.
Il giorno dopo ci aspetta un altro aereo, questa volta la destinazione è Pucallpa: una città di medie piccole dimensioni nella regione della Selva. Anche qui trascorriamo poco tempo. È proprio lì che ho iniziato a comprendere che da questo momento in poi ogni cosa sarà diversa rispetto a ciò che per me prima era “normale”. Le macchine non esistono e al loro posto si trovano innumerevoli motocarri sempre in movimento per le strade della città; i palazzi sono scomparsi e si vedono solo piccole case di uno o due piani tutte molto vicine; i ristoranti, i bar e tutti i locali sono ancora molto diversi da quelli a cui noi siamo abituati; mi sembrava di aver fatto un salto indietro nel tempo di tantissimi anni. Ma ancora il viaggio non è finito. Questa volta si tratta dell’ultimo volo, che finalmente ci porterà nella nostra destinazione finale: la città di Atalaya.
Atalaya è una piccolissima città nel cuore della selva amazzonica; i suoi abitanti sono molto ospitali e curiosi nei nostri confronti fin dal primo istante. Il direttore del campus di Nopoki, sede distaccata della Ucss, ci dà il suo benvenuto nel piccolo aeroporto in cui siamo atterrati e ci conduce presso la nostra residenza. I giorni seguenti, nonostante qualche difficoltà relativa ancora alle grandi differenze nello stile di vita, iniziamo ad approcciarci a quella che per i prossimi trenta giorni circa sarà la nostra vita quotidiana: sveglia alle 6 del mattino, il sole è già sorto, si sentono i versi degli animali e già in molti hanno iniziato la propria attività. Facciamo colazione a base di the e frutta e ci incamminiamo verso i campi.
Lì ci aspettano le persone che si occupano delle varie produzioni: caffè, arance, cacao e platano. Ogni settimana abbiamo un focus specifico su ognuno di questi prodotti, e la maggior parte del tempo la impieghiamo a studiare il cacao e le arance. È tutto molto interessante. Pur vivendo in una regione da sempre dedita all’agricoltura non mi è mai capitato di vedere così da vicino questo mondo. Assaggiamo sempre tutto ciò che coltiviamo, ci rendiamo conto di come ci si approccia alla terra, e comprendiamo con quanta dedizione deve essere affrontato questo tipo di lavoro.
Le mattinate trascorrono sempre molto velocemente e non sono così stancati come pensavo. Finito il lavoro andiamo sempre in un ottimo ristorante nel centro della città. Assaggiamo la cucina peruviana, proviamo sempre piatti nuovi che apprezziamo tantissimo. Tornati a casa nel primo pomeriggio iniziamo a conoscere i ragazzi di Nopoki: sono per la stragrande maggioranza giovani appartenenti a tribù locali, che grazie a una borsa di studio concessa da questo fantastico progetto, riescono a specializzarsi in un settore guidati da una forte voglia di rivalsa non solo personale ma anche sociale. Sanno che il Perù è un paese eccezionale, ricco di potenzialità ancora da sfruttare e vogliono aiutare il cambiamento portando conoscenza ed educazione laddove questo manca, migliorando il modo di “fare impresa” o affinando le tecniche agricole.
Ognuno di loro ha una storia, un sogno e durante i vari pomeriggi mi fa sempre molto piacere ascoltarli e interagire con loro. Parliamo dell’Europa, della mia città, della loro tribù e, con il passare del tempo, iniziamo a conoscerci meglio. Il fine settimana, liberi dal lavoro, cerchiamo sempre di sfruttare al meglio il tempo disponibile: facciamo delle piccole escursioni nella selva, visitiamo tribù vicine, andiamo a pescare o fare il bagno nelle “piscine naturali”. Ognuna di queste esperienze in Italia non avrebbe potuto avere lo stesso impatto su di me, non sarebbe stata così speciale. In un posto dove la tecnologia non esiste, dove i rapporti devono essere vissuti e non necessariamente condivisi, anche le cose più semplici acquistano un valore diverso.
Passano così i giorni e le settimane, mi abituo alla routine delle giornate peruviane e conosco tantissime persone che lasciano una forte traccia nei miei ricordi. Tra tutti Padre Curro e i ragazzi della parrocchia di Atalaya. Loro sono sempre pronti a ospitarci, a condividere il cibo e senza alcuna pretesa ci trattano come se fossimo sempre stati in mezzo al loro. Il ricordo più bello che porto con me è un’indimenticabile “vacanza”: una popolazione a circa di due ore di distanza non riesce a celebrare la messa da qualche mese e Padre Curro ci invita ad andare con lui. Tutti ci accolgono calorosamente, cucinano per noi e preparano delle stanze dove passare la notte. L’emozione del giorno dopo mi ha fatto riflettere molto: in molti aspettavano quel momento e tutti si sono goduti ogni singolo momento e ogni singola parola, come quando io o i miei coetanei andiamo al concerto del nostro cantante preferito.
Questo è solo uno dei tanti episodi che mi hanno fatto comprendere quanta fortuna abbia avuto nel partecipare a questo progetto che mi ha fatto comprendere tante cose dal punto di vista “tecnico” ma soprattutto umano. Finita l’esperienza e tornato in Italia ritrovo la mia famiglia e i miei amici. Un po’ cambiato. Il Perù e Atalaya resteranno sempre dentro di me, saranno sinonimo di un’esperienza diversa, di una nuova visione e di una grande consapevolezza su quanto sia fortunato.
* 24 anni, di Messina, studente del secondo anno della laurea magistrale in Food marketing e Strategie Commerciali, Interfacoltà di Economia e Giurisprudenza e di Scienze Agrarie alimentari e ambientali, campus di Piacenza