di Lorenzo Morelli *

I numeri parlano chiaro: l’agricoltura si colloca immediatamente a ridosso dell’industria manifatturiera tra i settori trainanti dell’economia italiana. Ovviamente se si assume un approccio from farm to fork, che identifica l’agricoltura con la “filiera agro-alimentare”, che parte dal campo per finire alla tavola, e va anche oltre, considerando lo sviluppo delle iniziative per minimizzare gli scarti alimentari: un sistema sempre più integrato e sinergico fra la componente della produzione primaria e quella della trasformazione.

Secondo l’Istat, con oltre 31,5 miliardi di euro correnti l’Italia si conferma nel 2017 al primo posto tra i Paesi Ue per il livello del valore aggiunto. E, per il ministero per lo Sviluppo economico, l’industria agroalimentare è il secondo settore manifatturiero italiano, con oltre 130 miliardi di euro di fatturato.

Un manifatturiero con elevatissima capacità di conquista dei mercati esteri: l’elaborazione dei dati Istat da parte di Coldiretti rivela che il 2017 ha fatto segnare un record storico per il made in Italy agroalimentare con esportazioni che hanno raggiunto i 41,03 miliardi di euro (+7% rispetto all’anno precedente). Quasi i due terzi di queste sono dirette verso i Paesi Ue, ma gli Stati Uniti con 4,03 miliardi di euro sono il principale mercato extra Ue e il terzo in termini generali. Numeri molto positivi e di ottimo auspicio per il 2018, proclamato dai ministeri delle Politiche agricole alimentari e forestali e dei Beni culturali e del turismo “Anno nazionale del cibo italiano”.

Il settore si presenta, quindi, in buona salute e in crescita ma, per mantenere e consolidare queste posizioni, deve affrontare alcune sfide che richiedono ricerca, sviluppo e nuove professionalità: l’adattamento ai cambiamenti climatici; le sostenibilità ambientali e sociali; la sfida dei mercati esteri, soprattutto quelli dei Paesi a economia “emersa”.

I CAMBIAMENTI CLIMATICI 

I cambiamenti climatici sono oggetto di aspri dibattiti ma i dati meteo, soprattutto quelli relativi alle piogge e alle escursioni termiche dell’ultimo decennio, riportano forti variabilità e tendenze ben chiare.

Una prima conseguenza è la difficoltà a mantenere le stesse procedure colturali: per esempio, il mais, vero carburante delle produzioni zootecniche, ha necessità idriche molto elevate, che potrebbero comprometterne il futuro come principale fonte alimentare per la nostra zootecnia. Potrebbe essere compromesso un settore che parte dal mais e, attraverso il latte, finisce ai nostri formaggi Dop, fiore all’occhiello del nostro agro-alimentare.

Da qui il bisogno di nuove professionalità, capaci di gestire i nuovi sistemi di irrigazione, basati su sensori di umidità, centraline di raccolta dati, software di analisi e così via. Professionalità multi-disciplinari, dove l’agronomia va a braccetto con l’informatica. Le “job vacancies” legate al tema “climate changes” riportate dai siti internazionali di cacciatori di teste sono, da alcuni anni, misurate in migliaia. Uno stimolo anche per il mondo accademico, che dovrà aggiornare la propria offerta formativa per la preparazione di questo tipo di nuova professionalità.

LE SOSTENIBILITÀ AMBIENTALI E SOCIALI

Un sistema agro-alimentare sempre più attento al rispetto dell’ambiente non può prescindere dal considerare l’elemento primo, cioè le persone che vi lavorano. Spesso i servizi sociali che sono presenti nei comprensori a vocazione agraria sono insufficienti o difficili da utilizzare (ospedali e scuole distanti, per fare un esempio). Questo non favorisce il ricambio generazionale indispensabile per la continuazione delle attività agricole e la loro evoluzione verso pratiche più aggiornate.

L’attenzione all’impatto eco-ambientale è l’altra faccia della medaglia. Bisogna formare nuovi professionisti dell’agro-alimentare che riescano a far mantenere gli attuali livelli di produzione con un ridotto impatto ambientale, senza però cadere nella trappola di un “ambientalismo romantico”, che non può essere compatibile con le necessità di mantenere dei livelli produttivi e qualitativi elevati. 

Nell’agro-alimentare vi sono molti miti da sfatare: non tutti sanno che uno dei primi sequestri del 2017 da parte dell’autorità competente per la presenza di micotossine è stato di un alimento biologico. Coltivare in regime bio non è di per sé garanzia di sicurezza totale né può garantire le quantità di prodotto necessarie a un Paese come l’Italia.

I MERCATI ESTERI

L’ultima sfida si potrebbe anche definire “piccolo è bello ma a volte anche no”. I mercati orientali sono estremamente rilevanti sia come massa di potenziali consumatori che come reddito pro capite di frazioni sempre più elevate della popolazione. Tuttavia la complessità delle norme, la distanza di questi mercati, le difficoltà insite in culture profondamente diverse rendono difficile per la micro e piccola azienda agro-alimentare italiana (molte sono a livello di artigianato) sfruttare queste potenzialità. 

Anche in questo caso la formazione di professionalità “miste” fra tecnologi alimentari e laureati di area economica potrà creare degli “export manager” in grado di affiancare e aiutare le nostre aziende alimentari.

Il sistema agroalimentare italiano è, quindi, alla ricerca di nuovi profili professionali, con tre parole d’ordine: multidisciplinarietà, trasversalità, pluralità di competenze.

* direttore del Dipartimento di Scienze e tecnologie alimentari per una filiera agro-alimentare sostenibile (Distas), docente di Biologia dei Microrganismi alla facoltà di Scienze Agrarie, alimentari e ambientali della sede di Piacenza–Cremona