Silvia Romano è finalmente tornata a casa. La 25enne milanese è stata liberata il 9 maggio scorso, dopo 18 mesi di prigionia. Era stata rapita il 20 novembre 2018 in Kenya, nel villaggio di Chakama, dove collaborava con la onlus marchigiana “Africa Milele”, che significa in Kiswahili per sempre. Una banda di uomini armati l’aveva prelevata con la forza. Dalle indagini condotte dalla Procura di Roma era emerso che la ragazza potesse essere stata trasferita immediatamente in Somalia e che i mandanti del sequestro fossero i militanti di al-Shabaab. Abbiamo cercato di tracciare un profilo del gruppo terrorista che si cela dietro il rapimento e di ricostruire il terreno in cui esso si muove con Beatrice Nicolini, professore ordinario di storia dell’Africa nella facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica, dove è possibile imparare la lingua kiswahili.

Come nasce al-Shabaab? «Al-Shabaab (Harakat al-Shabaab al-Mujahiddeen) significa movimento dei giovani combattenti per la Jihad - termine, questo molto abusato in Italia e ignorato dai più nella sua complessità - nasce intorno al 2005 come movimento militante emerso dalla frantumazione delle corti islamiche somale (Unione delle Corti Islamiche) in un contesto di forte instabilità politica e in una società settaria a base clanica. Il movimento rivendica radici sunnite senza rispettare la tolleranza e la coesistenza pacifica».

In che cosa si differenzia dalla pirateria in Somalia? «Al-Shabaab va distinto dal fenomeno della pirateria nel Corno d’Africa, oggi molto ridimensionato ma non per questo dissolto, i cui primi esponenti sostenevano di essere nati come semplici pescatori e di essere stati costretti a diventare pirati. Essi rivendicavano una economia ittica regionale progressivamente distrutta da tutte le grandi navi e le petroliere che, ormai da 20-30 anni, scaricano i loro rifiuti tossici lungo le coste della Somalia, provocando un danno ambientale talmente grande da impedire la pesca e da costringerli ad attaccare le petroliere e rapire gli equipaggi per riscatto. Nel 2011 sono stati pagati 31 riscatti ai pirati, per un valore totale di 160 milioni di dollari. Fino al 2012 questi gruppi possedevano probabilmente spie in alcune compagnie assicurative come i Lloyds di Londra, dentro le petroliere che attraversano il Mar Rosso, il Golfo e l’oceano Indiano, allo scopo di informare sulla composizione degli equipaggi e capire se poter attaccare. La strategia era quella dei rapimenti, se l’equipaggio era composto da italiani i pirati attaccavano».

In quali zone opera al-Shabaab? «Nel continente africano esistono diverse realtà terroristiche, tra queste una è, appunto, al-Shabaab (7-9.000 componenti), che si trova principalmente in una regione che corrisponde alla Somalia; vi è Boko Haram (formato dalla parola hausa boko, occidente e dal termine arabo haram, proibito), in Africa occidentale, prevalentemente in Nigeria, e Jaysh al Ayman (dal nome di uno dei suoi leader, Ayman) in Kenya, che si espande fino alla regione di Beira, in Mozambico. Tutti includono foreign fighters tra le loro fila. Si tratta di gruppi che praticano brutalità come uccisioni di donne con lapidazioni, mutilazioni e esecuzioni sommarie, oltre a attacchi terroristici con massacri di massa».

In che contesto si inserisce al-Shabaab? «Il gruppo fa parte della rete rappresentata dall’ISIS, che collega tra loro molti terroristi, compresi i talebani in Afghanistan. Al-Shabaab emerge inizialmente come una nuova realtà somala che appare in grado di sostituirsi all’assenza dello Stato, ma che presto si rivela in tutta la sua violenza e perde il consenso della popolazione ormai provata da decenni di guerra civile e di crisi.
Nello stesso tempo è opportuno specificare che esistono realtà militari internazionali importanti; oltre a AMISOM, Missione dell’Unione Africana in Somalia, in un paese confinante con il Somaliland, a Gibuti vi è l’Africom (United States Africa Command), a Camp Lemmonier, l’esercito cinese, e le forze dell’Unione europea. Queste realtà si occupano anche di contrastare i pericoli del Covid-19 in Africa. Il 20 aprile 2020 è stato compiuto un attacco con droni armati in territorio somalo contro obiettivi al-Shabaab in risposta ad attacchi alle basi Africom. Dunque, la regione è in uno stato di tensione e esistono pericoli per tutti gli attori coinvolti».

Come agisce al-Shabaab? «Con attacchi terroristici molto brutali. La violenza è diretta essenzialmente in due direzioni: verso i cristiani, che vengono identificati con l’occidente in generale, e verso i musulmani. Ogni recente tentativo di ricostruzione politico-istituzionale in Somalia è stato contrastato da al-Shabaab come l’attentato con un camion esplosivo nella piazza di Mogadiscio dell’ottobre 2017 che ha ucciso 500 persone soprattutto donne e bambini».

Che influenza ha questo gruppo sulla popolazione? Trova terreno fertile? «No, non più. Dobbiamo considerare che c’è un humus di forte sofferenza economica, di disoccupazione, di risentimento, di drammi assoluti, da cui è emerso più di un gruppo di giovani. Essi non sono definiti nemmeno musulmani, non sono considerati tali: la popolazione locale li identifica come criminali. È importante ricordare che esistono gruppi militanti all’interno di un Islam politico somalo, e non solo, molto frammentato».

Che ruolo può aver avuto al-Shabaab nella conversione all’Islam di Silvia Romano? «Vanno comprese molte cose ancora, non sono chiare le modalità e i contesti di questa conversione. L’Islam prevede una categoria di persone definite le genti del libro, cioè coloro che studiano la cultura e la civiltà islamiche pur non essendo musulmani che vanno rispettate. Inoltre, nessun musulmano secondo il Corano può essere reso schiavo. Pertanto, c’è la possibilità che questa ragazza, che è una persona colta, abbia scelto, o sia stata costretta in quanto rapita, questa via per garantirsi una sicurezza alternativa alla morte. Forse la sua conversione è stata funzionale alla sopravvivenza. Lei è stata spostata in 5 o 6 campi, per cui non sapeva mai a chi fosse in mano».

La ragazza, però, ha parlato della conversione come di una libera scelta, spontanea. «Può anche darsi che sia un percorso che lei abbia compiuto autonomamente in questo anno e mezzo terribile in cui si è ritrovata isolata, lontana dalla sua famiglia e dal suo paese: l’Italia».