Vincenzo Spadafora, ministro per le Politiche giovanili e per lo Sport, ha ufficialmente annunciato la ripresa del campionato di calcio di serie A e B a partire dal 20 giugno. A porte chiuse però e con una serie di misure a tutela dei giocatori e di tutto il mondo che ruota loro intorno. Precauzioni più che necessarie secondo il professor Walter Ricciardi, ordinario di Igiene generale e applicata all’Università Cattolica e direttore dell’ambulatorio di Occupational Health in Public Health Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, autore tra l’altro di un lavoro firmato anche dalla professoressa Stefania Boccia, ordinario di Igiene nello stesso Ateneo, che sarà pubblicato a breve su Frontiers in Medicine.

«Questo nostro contributo – commenta il professor Walter Ricciardi – dimostra la pericolosità degli eventi di massa in tempi di intensa circolazione del virus perché, come nel caso di Atalanta-Valencia e di Liverpool-Atletico Madrid, possono accelerare la propagazione di virus ad elevata contagiosità, come questo coronavirus. Quindi, dal punto di vista della partecipazione del pubblico, questa potrà essere di nuovo autorizzata solo quando la circolazione del virus sarà drasticamente limitata e tornata praticamente a zero. Per quanto riguarda invece le attività sportive è evidente che queste non possano eludere le misure di sicurezza, valide per tutti noi. I calciatori, come tutti, quando si avvicinano a un’altra persona in uno sport di contatto, se sono infetti la contagiano. C’è dunque la necessità di tutelare non solo i calciatori, ma anche tutti coloro che gli stanno intorno, dai preparatori, ai medici, ai manager. È necessario essere coerenti con le misure di distanziamento, di igiene, di comportamento, fintantoché non ci sarà un vaccino o degli strumenti che consentano di lavorare in tranquillità. Sul discorso della quarantena del giocatore infetto da estendere o meno a tutta la squadra, è chiaro che un giocatore positivo può contagiare anche tutti gli altri nello spogliatoio; quindi, in questo caso andrà quarantenata tutta la squadra, a meno di non elaborare complesse e non facili strategie di distanziamento fisico».

La ‘partita zero’ della COVID: Atalanta-Valencia

C’è chi l’ha soprannominata la ‘partita zero’ della COVID, la madre di tutti i disastri registrati nella provincia di Bergamo. È Atalanta-Valencia, l’incontro degli ottavi di finale di Champions League, giocato il 19 febbraio scorso allo stadio San Siro di Milano. Secondo alcuni, sarebbe questa la miccia che ha fatto scoppiare l’ondata di contagi al Nord, dando vita al ‘caso Lombardia’.

Il 18 febbraio per la prima volta veniva diagnosticato in Italia (a Codogno) un caso di SARS CoV-2 non ‘importato’. Da allora, si è assistito a un aumento esponenziale del numero dei contagi (a fine maggio se ne contano oltre 230 mila nel nostro Paese), con un tasso di letalità grezzo intorno al 14%. Con i suoi oltre 86 mila casi, la Lombardia è indiscutibilmente l’epicentro della pandemia in Italia e la provincia di Bergamo una di quelle più duramente colpite. Nel mese di marzo il numero dei decessi in quest’area ha visto un aumento del 567,6% rispetto allo stesso mese negli anni 2015-2019 e l’immagine dei convogli militari messi in campo per trasportare fuori regione i cadaveri da cremare è ormai indelebile nel ricordo di tutti.

Ma la sera del 18 febbraio, il vento del COVID-19 soffiava ancora lontano dall’Italia e la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità continuava a definirla una ‘epidemia’ lontana, localizzata nella regione dell’Hubei, con epicentro Wuhan. Per Bergamo invece quella era già una data storica: la prima volta dell’Atalanta, la squadra cittadina, in Champions League. Oltre 45mila biglietti venduti, praticamente tutti in Italia, la quasi totalità a Bergamo. Si pensa che almeno un bergamasco su tre quella sera si sia recato allo stadio San Siro di Milano, per vedere la partita. Dando luogo, col senno del poi, ad occasioni infinite di contagio. Allo stadio, sui mezzi di trasporto, infine nei bar e in strada per festeggiare una vittoria senza precedenti. Il diktat del social distancing non era ancora arrivato, e comunque, difficilmente sarebbe stato rispettato, tanto dirompente era la gioia del momento.

Gli esperti ritengono che qualcosa di simile possa essersi verificato per la partita Liverpool-Atletico Madrid, tenutasi all’Anfield stadium l’11 marzo, da dove si pensa che 3 mila madrileni abbiano probabilmente riportato a casa il virus, nella città che sarebbe di lì a poco diventata l’epicentro spagnolo della COVID-19.

E anche quando COVID-19 aveva ormai fatto la sua comparsa ufficiale nel nostro Paese, si è continuato a far giocare le partite, sebbene a porte chiuse. Fino al 10 marzo, vigilia del lockdown e giorno in cui veniva comunicata la positività al SARS CoV-2 del primo giocatore di calcio. A quel punto, in Italia era già stato sforato il muro simbolico dei 10 mila contagi e i morti erano già centinaia.

La Fase 2 dello sport: prudenza, prudenza e ancora prudenza

Se l’interruzione della vita sociale è stata improvvisa e traumatica, con l’annuncio del lockdown fatto dal presidente Conte la sera dell’11 marzo in diretta Facebook, la ripresa deve essere necessariamente graduale, considerando caso per caso le singole attività e gli eventuali relativi raduni o assembramenti.

«È chiaro che per quanto riguarda il campionato di calcio – commenta la professoressa Boccia – la posta in gioco, sul versante economico è importante e le pressioni, da parte delle squadre, delle televisioni e di tutto il mondo che ruota intorno allo sport sono importanti. Allo stato attuale non potendo definire delle linee guida ‘certe’ e considerando l’imminente ripresa delle competizioni sportive agonistiche, risulta fondamentale mettere in atto le conoscenze generali acquisite riguardo la trasmissione del virus.  La ripresa di qualunque attività sportiva, coinvolgente un gran numero di persone, dovrà essere accompagnata da un monitoraggio puntuale, per cogliere sul nascere un’eventuale ripresa dei contagi. Le partite di calcio riprenderanno a porte chiuse, ma bisognerà fare grande attenzione agli eventuali raduni di gente in prossimità degli stadi».