Nell’elaborazione di un pensiero e di una sensibilità contrari alla logica eversiva delle mafie, l’Università deve essere presente con una propria capacità propositiva, orientata allo studio scientifico del fenomeno, nei suoi profili storici, culturali, sociali, psicologici e alla formazione degli studenti per contrastare la visione mafiosa della società. Partendo da questa convinzione, l’Università Cattolica con il Centro Studi per l’Educazione alla Legalità, l'Alta Scuola di Psicologia “A. Gemelli” e l'Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo, insieme al  Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Brescia da alcuni anni stanno collaborando nella realizzazione di ricerche sulle mafie.

I lavori più recenti sono stati presentati al convegno “Studiare le mafie all’università” (giovedì 19 ottobre), promosso dal direttore del centro studi sulla legalità Luciano Caimi e dal professor Carlo Alberto Romano della Statale.

Durante l’incontro è stato anche sottoscritto un manifesto d’impegni per sottolineare la volontà di proseguire e di incrementare le indagini conoscitive del fenomeno. Ma anche di attivare specifici itinerari formativi sull’argomento per contribuire alla crescita di una cultura della legalità e della cittadinanza. In apertura dei lavori è stato assegnato al prof. Luciano Caimi il prestigioso Gattopardo della legalità (guarda la video intervista).

Fra i lavori di tesi realizzati è stato presentato quello di Paola Bonenti, laurea In psicologia degli interventi clinici nei contesti sociali, che ha analizzato le “Vittime di mafia e i sistemi di convivenza”, in modo particolare quelli della ‘Ndrangheta, dalla quale sembrerebbe emergere una forma di convivenza fondamentalista-performante, in cui l’oggetto di lavoro ed il fine ultimo sono l’annullamento delle differenze e il dominio dell’altro. Il potere individuale, così come l’identità, coincide con il potere sovra-personale.

La speranza - scrive la neolaureata - è che si vada sempre più verso una presa in carico multidisciplinare delle persone-vittime, perché possano essere supportate, protette e sostenute, dal punto di vista fisico, psicologico, economico, lavorativo, relazionale e legale. Solo con questo aiuto vero da parte delle istituzioni e della rete sociale, le persone potranno considerare la via alternativa della denuncia, in maniera che si vada sempre più in direzione di una presa di posizione radicale contro una realtà schiacciante e velenosa come è la mafia, in difesa della legalità e della libertà di ogni essere umano. Non hanno bisogno di commenti le parole di Paolo Borsellino: “La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.

Dalla Statale è stato scelto il lavoro di Francesco Bertolini, laurea magistrale in Giurisprudenza, che ha analizzato il rapporto tra la criminalità organizzata e il traffico illecito d’arte e di beni culturali. Scrive nelle conclusioni: “Ciò che permette la crescita continua di questo traffico illegale è, in primo luogo, la mancanza di un’uniformità normativa necessaria per creare degli standard valevoli a livello internazionale, in grado di colmare le lacune presenti nei singoli stati e quelle attinenti la coordinazione legislativa a livello interstatale. Questo spinge la criminalità organizzata a correre i pochi rischi connessi alla commissione di tale reato in vista di grandi possibilità di guadagno. Oltre al supporto delle forze dell’ordine si dovrebbero attuare delle campagne di sensibilizzazione al patrimonio culturale perché “Il passato è il nostro presente e di conseguenza il nostro futuro”.