Il professor Alberto Quadrio Curzio, professore emerito di Economia politica all’Università Cattolica, interviene sull’Huffington Post per spiegare come mobilitare risorse europee per fronteggiare la crisi da coronavirus, con l’aiuto di due “giganti” come Banca europei degli investimenti e Fondo europeo per gli investimenti

di Alberto Quadrio Curzio *

Nove leader di Paesi dell’Eurozona hanno chiesto di emettere uno “strumento di debito comune “ ovvero i “Coronabond”. Questo per ora sembra impossibile data l’opposizione della Germania e altri Paesi. Dato il recente nulla di fatto dell’Eurogruppo un cambiamento di rotta avrebbe richiesto l’Eurosummit dei capi di Stato o di Governo a 19 dell’Eurozona e non quello odierno della Ue a 27. Si parla inoltre di un Piano Marshall per la ricostruzione, mentre si dovrebbe parlare di un Piano Delors/Draghi, almeno per chi conosce la storia della costruzione europea. Così per ora rimane fermo anche il potenziale della Banca centrale europea (Bce) che ha deciso un “Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp)” per 750 miliardi.

EuroRescueBond e EuroUnionBond

Sullo sfondo rimane anche l’uso del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per emettere “Coronabond” al fine di fronteggiare le urgenze di singoli Stati dell’area euro. Al proposito ho più volte segnalato possibili rischi rivenienti da uno Statuto molto rigido, sia per le condizioni prescritte ai fruitori del sostegno, sia perché prima di appellarsi a strumenti è bene sapere come funzionano, sia ancora perché le decisioni del Mes vengono prese alla unanimità degli Stati sottoscrittori. Quindi la Lettonia pesa come l’Italia e Malta come la Spagna!

La mia proposta è stata ed è quella di varare due tipi di Eurobond: quelli per contrastare le emergenze (EuroRescueBond), non solo nel breve periodo, attivando un nuovo Fondo (o modificando radicalmente il Mes); quelli per rilanciare gli investimenti puntando su infrastrutture e innovazione ovvero gli EuroUnionBond, sui quali rifletto da anni. I due EuroBond sono complementari e riguardano anzitutto l’Eurozona perché su questa incide la politica della Bce.

Tratto qui degli EuroUnionBond perché senza una immediata e forte attenzione all’economia reale (anche in relazione alle prospettive di “ri-continentalizzazione“) diventerà difficile evitare spaccature all’interno dell’Eurozona. In economia reale anche l’Italia potrebbe dare e avere molto laddove, muovendosi solo sul terreno della finanza pubblica, la sua debolezza sarà sempre marcata. La strategia degli EuroUnionBond non esonererebbe l’Italia da un miglior controllo dei suoi conti pubblici, ma se riuscissimo a far crescere di più il nostro Pil l’aggiustamento diverrebbe meno faticoso. E probabilmente gli altri Paesi dell’area euro capirebbero meglio che il peso del sistema produttivo italiano è essenziale all’economia europea. Basterebbe considerare al proposito che tra Francia, Germania e Italia arrivano al 64,2% del Pil dell’Eurozona.

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* professore emerito di Economia politica all’Università Cattolica, fondatore e attualmente presidente del Consiglio scientifico del Cranec (Centro di ricerche in Analisi economica), presidente emerito dell’Accademia Nazionale dei Lincei