«Fare memoria non è un rituale privo di senso. È l'occasione per misurarsi con eventi che ci interrogano profondamente. Oggi ci poniamo questo obiettivo: partire da ciò che è stato, dalle emozioni che l’olocausto ha generato, per elaborare, capire e trarre insegnamenti per l’oggi» apre con queste parole la professoressa Carla Ghizzoni, coordinatrice del corso di laurea in Scienze dell’educazione della Cattolica, il seminario “Nonostante tutto dire sì alla vita. Perché Auschwitz non ha ucciso la speranza” organizzato a Piacenza in occasione della Giornata della memoria.

Quasi 400 gli studenti delle scuole superiori che hanno seguito attenti e curiosi una mattinata che non ha risparmiato momenti di commozione. Un convegno organizzato dalla facoltà di Scienze della Formazione che si è incentrato in particolare su due elementi: la figura di Viktor Frankl, psichiatra sopravvissuto a quattro campi di concentramento che nel suo lavoro “Uno psicologo nei lager” ha illustrato la capacità dell’uomo di resistere nonostante l’orrore, nonostante il dramma, “nonostante tutto”, appunto. E poi una ricerca svolta su sopravvissuti, bambini durante la Shoah, che ha cercato di mettere in luce i motivi di resilienza per questi bambini catapultati in una situazione terribile.

«La giornata della memoria ci ricorda una delle pagine più tragiche della nostra storia, pagina che tuttavia non è più così recente: i testimoni diretti stanno scomparendo e quindi urge un altro modo di fare memoria» sottolinea il professor Daniele Bruzzone, organizzatore del convegno. «Noi abbiamo voluto trovare i motivi di attualità di quella pagina, cercando di capire in che cosa possa essere utile, nella nostra vita, l’esperienza della deportazione. Pertanto abbiamo concentrato la nostra attenzione su una prospettiva che ci permettesse di capire non solo le efferatezze che venivano compiute nei lager, ma in particolare il modo in cui le persone riuscivano a resistere in questa situazione estrema, con quali motivazioni e con quali risorse spirituali».

Il messaggio di Frankl è incentrato sul tema della proiezione futura: è possibile, per tutti coloro che vivono condizioni limite nel corso della propria vita (non solo la  detenzione, ma anche la malattia, il lutto e ogni forma di sofferenza), resistere e continuare a crescere se si ha un motivo di speranza, cioè qualcosa che ci attende nel futuro, un significato da realizzare, una missione da compiere, una persona a cui ricongiungerci “qualcosa che ci chiami fuori di noi e fuori da quella situazione angusta. Queste testimonianze ci aiutano a comprendere come tutti noi, nelle situazioni difficili della vita, possiamo fare appello ad alcune risorse per continuare a preservare la nostra integrità e la nostra dignità”.

Marco Ius, ricercatore dell’Università di Padova, ha presentato i risultati di uno studio realizzato sui bambini nascosti della Shoah, scampati all’olocausto grazie al fatto di essere stati allontanati dalle famiglie d’origine per vivere in altre famiglie o in conventi. «Quello che abbiamo provato a fare con queste persone, oramai nonni e non più bambini naturalmente, è stato quello di riflettere insieme al loro sugli aspetti che li hanno protetti e aiutati a sviluppare la resilienza che li ha fatti sopravvivere» racconta Ius. «Sono bambini che hanno avuto un buon inizio con le famiglie d’origine e poi sono stati accolti e protetti, a vari livelli, dalle famiglie che li hanno ospitati. E soprattutto nella loro vita hanno avuto un tutore di resilienza, una persona che, sia durante la guerra, ma poi anche nella loro crescita, li ha aiutati a cucire e dare un senso ai vari pezzi della loro esistenza,  per portarli a sviluppare un’identità adulta integrata e positiva per se stessi e per la comunità».

Ricordano con vividezza e dettaglio il periodo della guerra: come per una sorta di gerarchia della memoria i bambini nascosti sono stati meno al centro dell’attenzione generale rispetto alla Shoah; c’è stata molta attenzione per coloro che erano sopravvissuti ai campi di concentramento, alle persone nei ghetti, c’era l’idea che i bambini ricordassero meno. Solo negli ultimi anni si è aperta questa attenzione ai bambini nascosti, che ha svelato un mondo di dolore e di perdita ma anche di risorse umane e spirituali.

Ad arricchire il seminario, i contributi di Paolo Valvo e Antonella Arioli: il primo ha inquadrato il contesto storico concentrandosi soprattutto sulle origini dell'antisemitismo, mentre l'altra ha sollecitato i giovani presenti a fare un progetto di sé per guardare al futuro con fiducia nonostante le difficoltà. Ad intermezzare gli interventi, la lettura di alcune Memorie della  deportazione: due le voci a confronto, interpretate da Alberto Gromi e Mattia Cabrini.