Per effetto delle conseguenze del Coronavirus, ma non solo, da luglio sono a rischio chiusura il 30% delle scuole non statali italiane, quegli 12.600 istituti, in prevalenza di ispirazione cristiana, soggetti a tutti i controlli della scuola statale e per questo definiti “paritarie”, che per la legge hanno “pari dignità” delle altre. Accolgono circa 866.000 studenti, quasi il 10% del totale. Iniziamo con questo articolo di uno dei massimi esperti in materia, il professor Marco Grumo, un percorso di approfondimento per sfatare molti luoghi comuni, comparare la situazione italiana con quella degli altri Stati europei, conoscere un mondo vitale e inclusivo, trovare soluzioni per dare vita a un sistema scolastico integrato e plurale


di Marco Grumo *

Grazie ai docenti, ai presidi ma anche agli studenti e alle loro famiglie non si è mai veramente fermata. È proprio in questi momenti che si vede l’importanza di investire nella scuola, perché rappresenta il futuro del Paese. 

Tutte le scuole, anche quelle paritarie. Stiamo parlando di oltre 12.600 istituti soggetti a tutti i controlli della statale e per questo definiti “paritarie”, che per la legge hanno “pari dignità” delle altre. Accolgono circa 866.000 studenti (quasi il 10% del totale), di cui quasi 18.000 disabili, che ricevono in queste scuole un’attenzione molto particolare con grandi risultati per i ragazzi e per i loro genitori, ricevendo dallo Stato 0,55 miliardi di euro di finanziamento pubblico annui (posticipatamente) e una possibilità per le famiglie di detrarre la retta pagata per un massimo di euro 152 euro all’anno, contro un finanziamento annuo accordato alle scuole statali di circa 55 miliardi di euro solo per le spese correnti (senza contare i finanziamenti in conto capitale).
 
È sempre stato così: i soldi dei contribuenti italiani vengono dati alle scuole statali ma non a quelle paritarie, che si devono accontentare dell’1% del finanziamento dato alle statali perché, come dice qualcuno, sono scuole “private” e, cioè, per i “ricchi”, con il sottinteso che “è giusto che se le paghino le famiglie con i soldi propri”. Lo stereotipo suona così: “Non daremo soldi ai benestanti”. Ne esce un quadro in cui c’è una scuola statale da finanziare in toto (anche e soprattutto in tempo di Covid) e una “privata” che, in quanto “privilegio”, come se fosse una borsa di marca, non deve essere sostenuta. Ciò vale per i muri, per gli insegnanti, per l’aiuto agli studenti (anche quelli più deboli), per i computer eccetera.

Discriminazione e scorrettezza

Queste distinzioni sono non solo discriminatorie ma nemmeno tecnicamente corrette. È un cortocircuito culturale e ideologico che non può continuare: dietro le scuole paritarie c’è un indotto, ci sono famiglie, studenti e tanti docenti, che non possono essere trattati come cittadini di “serie B”, poiché hanno pagato le imposte come tutti gli altri, finanziando anche la scuola statale di cui non usufruiscono. 

I genitori delle scuole paritarie sono costretti a pagare la retta perché altrimenti quelle scuole non potrebbero vivere, dato che lo Stato non le finanzia. È giunto il momento di abbandonare gli sterili “ritornelli” del passato perché non appartengono più alla realtà e soprattutto la indeboliscono.

La realtà, infatti, è diversa: la paritaria non è la scuola privata, ma comprende la scuola paritaria non profit - in particolare quelle cattoliche, che sono la maggioranza - e accoglie tutti, anche e soprattutto nelle zone più povere del nostro Paese, dalla scuola dell’infanzia alla scuola secondaria di secondo grado. È lo Stato che impone la retta: le paritarie ne farebbero volentieri a meno, essendo nate per educare e non certo per fare profitti. 

Scuola paritaria non significa assolutamente “di qualcuno” e/o “solo per qualcuno” e/o al “di fuori del sistema”, poiché è soggetta a tutti i controlli previsti per le scuole statali; scuola paritaria non significa nemmeno scuola “di una parte” o di “un’altra”, significa solo scuola posta sullo stesso piano di quella statale (paritaria appunto) ma costruita (interamente) e condotta (totalmente o principalmente) con risorse non statali e quindi non derivanti dal gettito tributario, appunto “senza oneri per lo Stato” come dice la nostra Costituzione.

Molte scuole rischiano di non farcela

Oggi l’Italia e l’Europa non hanno bisogno solo della scuola statale o solo della scuola non statale ma di entrambe. L’una completa e rafforza l’altra. Non c’è nemmeno una scuola a priori meglio di un’altra, c’è solo una scuola diversa dall’altra, ma entrambe buone e necessarie per il bene di tutti.
Avere più scuole diverse tra loro significa dare alle famiglie e agli studenti un servizio migliore. Basta pensare anche ai tanti ragazzi con disabilità o con bisogni speciali che in queste scuole hanno un’accoglienza particolare. 

Eppure oggi molte scuole paritarie rischiano di chiudere per sempre, poiché le famiglie a causa della crisi non riescono più ad auto-finanziarle con la retta. Le scuole cattoliche da tantissimi anni svolgono un servizio sociale ed educativo estremamente rilevante e anche tanto conveniente per le finanze pubbliche, usando risorse umane, finanziarie e patrimoniali proprie, spesso insufficienti, poiché a differenza della scuola statale, per una scuola paritaria lo Stato assegna solo 500 euro annui per studente contro i 6.500/7.000 euro assegnati agli studenti delle scuole statali.
 
Così le scuole paritarie cattoliche accumulano perdite, lo Stato risparmia e le scuole sono costrette a chiedere ai genitori di pagare una retta, dopo aver già pagato le imposte. Una retta che nasce da una mancanza di parità nel sostegno finanziario pubblico e sempre più proibitiva per le famiglie. 

Da qui il rischio che il 30% circa delle scuole paritarie non profit cattoliche italiane (molte anche nelle zone più povere del Paese) sia costretto a chiudere con la necessità di ricollocare circa 300.000 studenti nella scuola statale e sostenere oltre 40.000 lavoratori disoccupati, con un aggravio di spesa per lo Stato fino a 5 miliardi di euro. 

Tra non profit e mercato

Le scuole paritarie cattoliche e di ispirazione cristiana (che sono la maggioranza) non operano per profitto, ma solo per svolgere un’importante funzione educativa a favore delle famiglie e delle future generazioni. Il Paese ha bisogno, più che mai, di pluralismi. Il monopolio non è mai stato conveniente per nessuno: per i diritti, per la qualità del servizio e per l’economia individuale e dei sistemi. Il monopolio impoverisce sempre e questo vale anche per la scuola. Abbiamo già assistito a troppi fallimenti di business e di servizi statali per andare a sacrificare anche la scuola paritaria non profit.

«Ma nella Costituzione c’è scritto “senza oneri per lo Stato”» dice chi vuole continuare a sostenere solo la scuola statale. Infatti è sempre stato proprio così: le scuole paritarie non si svolgono in immobili pagati con i soldi della collettività, bensì in strutture totalmente a carico dei soggetti gestori (nella costruzione e nelle manutenzioni ordinarie e straordinarie). Strutture su cui si pagano le tasse e finanziate con redditi già tassati. Gli insegnanti sui redditi ricevuti pagano le imposte, le famiglie pagano le rette con redditi su cui hanno già pagato le imposte e non recuperano praticamente nulla (senza peraltro usufruire della scuola da loro pagata con le imposte). In più la scuola paritaria consente allo Stato di risparmiare circa 6.500 euro per studente rispetto alla scuola statale. Altro che senza oneri per lo Stato, la scuola paritaria è ben di più, è una “gallina dalle uova d’oro”. 

Bisogna anche considerare che le scuole in Italia (come del resto la sanità, l’assistenza, ecc.) sono ormai sul mercato: un mercato in cui però esiste un player (la scuola statale) che compete in modo molto più agevolato rispetto ai player non statali, mettendo così di fatto fuori mercato tutti gli altri. E la libertà di impresa? E la concorrenza sleale? E la disciplina degli aiuti di Stato? E il principio di sussidiarietà? Per non parlare del principio della libertà delle famiglie di scegliere l’educazione per i propri figli.

Serve una riforma per in sistema scolastico integrato

Ci sono chiaramente un po’ di cose da sistemare. La questione è discriminatoria da anni, ma ora siamo giunti veramente al rischio di “estinzione” per molte realtà, anche nelle zone più povere del Paese. Servono quindi interventi di breve periodo e soprattutto un riordino del sistema di medio-lungo periodo e, comunque, prima che sia troppo tardi.

Le scuole non statali sono una risorsa della Repubblica tanto quanto quelle statali e quindi, come tali, devono essere riconosciute e valorizzate, anche finanziariamente. Il concetto di scuola paritaria non coincide assolutamente con quello di scuola privata. Nell’Italia della ricostruzione post-Coronavirus c’è bisogno di scuole statali e paritarie di elevata qualità culturale ed educativa, efficienti e innovative. Servono entrambe e servono forti in tutto il Paese. Il sistema educativo deve essere pensato in modo unitario e non più distinto.

È giunto il momento di ragionare in modo nuovo, anche e soprattutto in materia di finanziamento della scuola paritaria non profit, prendendo in considerazione la possibilità per le famiglie che la scelgono di fruire di una detrazione integrale della retta pagata (o parametrata a un costo standard efficiente e di sostenibilità) scontabile nel medesimo periodo di imposta in cui essa viene sostenuta. Non si chiede certamente un aiuto per chi può o per chi fa profitti, bensì una detrazione proporzionata al reddito dei genitori e parametrata in base al numero dei componenti del nucleo familiare. 

Tutto ciò, in attesa di una riforma del sistema più organica basata su un nuovo modello di finanziamento della scuola tutta, dove ciascuno studente (della scuola statale e di quella non statale) potrebbe disporre, a regime, di un voucher o buono-scuola, pari proprio al costo standard di sostenibilità per allievo, versato dallo Stato direttamente alla scuola prescelta, sia statale che paritaria. Un parametro unico per tutte le scuole del Paese, differenziato per ciclo scolastico. Una quota che può essere eventualmente modificata anche in funzione della zona geografica e del fatto che la classe accolga o meno studenti in difficoltà e in base al numero dei figli a carico della famiglia. Chiaramente il parametro di finanziamento non dovrà essere né insufficiente, né eccedente rispetto a ciò di cui si necessita per svolgere un servizio formativo di eccellenza, innovativo ed efficiente e deve essere in grado di remunerare tutto il necessario (appunto di sostenibilità).

Applicare la detrazione integrale delle rette pagate dalle famiglie (all’interno certamente di alcuni limiti di reddito e tenuto conto del numero dei figli) è un atto da fare subito ed equivale a stanziare circa un miliardo di euro, contro i 5 miliardi a cui andrebbe incontro lo Stato (e quindi la collettività) se chiudessero il 30% delle scuole paritarie. Applicare, invece, nel tempo il nuovo modello di finanziamento della scuola significherebbe far risparmiare alla collettività circa 11 miliardi di euro all’anno. Si tratta quindi di soluzioni anche convenienti sul piano della finanza pubblica e quindi per i cittadini.

* docente di Economia aziendale e coordinatore scientifico di “Cattolicaper il Terzo Settore”. Co-autore del volume “Il diritto di apprendere”, Giappichelli Editore 2015


Primo di una serie di articoli dedicati al sistema delle scuole paritarie in Italia