I disagi della situazione di emergenza provocata dal Coronavirus si ripercuotono inevitabilmente anche su bambini e ragazzi, privati della loro routine quotidiana che mette a dura prova la comprensione di questo inedito fenomeno.
Alcuni esperti dell’Università Cattolica suggeriscono tecniche e modalità per affiancarli in questi giorni di chiusura delle scuole e di permanenza forzata in casa, nella consapevolezza che proteggerli non vuol dire tenerli lontani dalle difficoltà, ma aiutarli a comprendere la novità per fronteggiarla.
La realtà, infatti, non va nascosta e va detto chiaramente che la chiusura delle scuole non dipende da un periodo di vacanza aggiuntivo ma da motivi di salute pubblica. La verità va detta ma in modo accessibile al loro livello cognitivo ed emotivo, per aiutarli a elaborare meglio la situazione. Ne è convinta Chiara Ionio, docente di Psicologia delle relazioni, secondo cui – in relazione allo sconvolgimento che possono subire i bambini a causa di un’informazione troppo allarmistica – il protrarsi dell’emergenza è potenzialmente traumatogeno.
«Le comunicazioni che stanno circolando freneticamente, sia istituzionali che sui social media, non aiutano i ragazzi a un’elaborazione corretta dell’attuale situazione. Infatti, tali informazioni sono generalmente rivolte ad adulti con competenze cognitive superiori rispetto a un bambino o a un ragazzo, che può reagire con esagerata preoccupazione. La chiusura della scuola, inoltre, ha privato i bambini della routine giornaliera, sovvertendo il loro benessere e sviluppando una reazione di stress. L’evento traumatico nasce dal fatto che non trovano più punti di riferimento giornalieri come la sveglia, la colazione, i compiti, il catechismo, il calcio. La routine, infatti, dà sicurezza. La perdita della giornata usuale unita all’eccesso d’informazione poco mediata favorisce un trauma da stress che, unito a paura e ansia, non permette di vivere in modo adattivo».
In questo contesto risulta decisivo il ruolo dei genitori nel “mediare” le inarrestabili informazioni che giungono in ogni momento. Proprio sulle modalità di relazione con i bambini e i figli più grandi si sofferma Emanuela Confalonieri, docente di Psicologia dell’adolescenza: «È importante che genitori e adulti si rivolgano loro con modalità diverse a seconda dell’età. I bambini devono sentire che si può parlare di questo argomento, anche se non c’è una spiegazione a tutto. Non bisogna creare ansia, pur non sottovalutando il problema, perché il bambino ha bisogno di percepire la serenità dei genitori, che diventa la sua serenità. Pertanto l’emergenza Coronavirus non deve diventare l’unico argomento di conversazione in famiglia. Non è rassicurante vedere gli adulti che abbassano la voce parlando di questa situazione. In casa si ristabilisca la normalità, si parli di scuola, di compiti, si faccia la video-chiamata a un amico, si guardi insieme un film, si legga un libro, si prendano i vecchi giochi di società da fare insieme, ritrovando stili relazionali smarriti nella nostra epoca caratterizzata da ritmi frenetici. Anche con i figli più grandi si approfondisca l’argomento mettendo in evidenza gli aspetti positivi di questa crisi: il fatto che in Cina la situazione sta migliorando, che quindi c’è una evoluzione in meglio, che è ammirevole l’abnegazione del personale sanitario».
A proposito di permanenza forzata in casa, a causa delle scuole chiuse, viene utile richiamare l’attenzione sull’erogazione della didattica a distanza e lo svolgimento dei compiti. Per Monica Amadini, docente di Pedagogia generale, «la sfida che si pone nei confronti dei bambini non è solo quella di offrire materiali di studio, ma tenere vivo un legame educativo. Molti insegnanti e molte scuole, anche riferendosi alle disposizioni del Ministero dell’Istruzione, si stanno cimentando per ripensare l’attività didattica, avvalendosi degli strumenti digitali. Le possibilità sono molteplici: piattaforme gratuite per creare classi digitali, registri elettronici, condivisione di contenuti on line, video-lezioni. Certamente vi sono realtà scolastiche che sono già competenti e altre che sono in un certo senso in ritardo. Non trascurabile è anche il fatto che questa nuova offerta didattica deve essere una risorsa per le famiglie e non un’aggravante rispetto alla gestione dei bambini; nessuno deve essere lasciato indietro. Indipendentemente dai divari digitali, l’impegno che accomuna tutti gli insegnanti è di non interrompere il dialogo educativo, la condivisione di conoscenze, la costruzione di saperi. La scuola può riscoprirsi, pur in questa emergenza, un luogo di sapere ma anche di relazioni e di socializzazione».
Pier Cesare Rivoltella, docente di Didattica e tecnologia dell’istruzione e dell’apprendimento, concorda che la didattica online possa essere un’opportunità ma, afferma, «dipende dalle modalità e dal tipo di progettazione pedagogica messa in campo. Tante scuole, infatti, sono ben attrezzate, con ottime piattaforme, con insegnanti metodologicamente formati. In ogni caso non si può prescindere dalla presenza dei genitori, facendo attenzione a che non si crei un divario con i bambini delle famiglie disagiate che non dispongono degli appositi strumenti di connessione e che si troverebbero a pagare un gap rispetto ad altri bambini che vivono in contesti familiari adeguati».
Insomma va bene l’apprendimento a distanza ma supportato da una valida progettazione pedagogica, dalla presenza di un adulto e dalla capacità della scuola di colmare le differenze.