di Camilla Sante *

Cercate Honolulu su Google maps e capirete a cosa mi riferisco quando dico che in assoluto non esiste posto più geograficamente remoto al mondo. E forse è proprio questa distanza che rende le Hawai’i un posto così unico, così pieno di vita, così accogliente. 

L’arcipelago è composto da una serie di isole di varia dimensione e dai nomi impronunziabili. Casa era a Honolulu, la capitale, situata sull’isola di Oahu. Honolulu è una città piuttosto frenetica e che ha molto poco a che vedere con il resto delle Hawai’i. Esiste un contrasto palese tra gli altissimi grattacieli della business area in downtown Honolulu, i resort iperstellati nella zona di Waikiki e l’esercito di senzatetto che occupa strade e parchi. 

Ancora più sorprendente è stato capire che non esisteva un effettivo campus, come ho sempre immaginato fosse per i college americani. La Hawai’i Pacific University ha infatti due sedi, una situata a nord-est dell’isola, a Kaneohe e l’altra a downtown Honolulu. Se il primo campus era ben strutturato e unitario, il secondo, dove mi recavo ogni giorno, era frammentato e poco organizzato. 

Fondamentalmente le aule erano raggruppate in due edifici adiacenti in Fort Street Mall, una lunga via che conduceva a un grosso molo, dove era situato il centro del Downtown Campus, cioè Aloha Tower Marketplace. Forse, questo è l’aspetto che mi ha deluso maggiormente, ma le lezioni e i professori che ho incontrato hanno più che compensato la mancanza di un campus. 

Le aule erano composte da non più di una trentina di studenti ai quali era costantemente richiesto di interagire e partecipare attivamente, pena una riduzione del voto finale. Conoscendo già il metodo di studio americano, credevo di essere piuttosto preparata alla quantità di essay da scrivere, ma dopo la seconda settimana ho capito che avrei dovuto impegnarmi molto di più, data la assurda quantità di letture e compiti che ci venivano assegnati giornalmente. 

Alla fine del semestre, sento di aver imparato molto più di quello che avrei potuto studiando alcune materie da sola. Ho nettamente migliorato il mio livello di inglese, tanto scritto quanto orale, oltre ad essere più rapida nella lettura. Ritengo che i miei professori si siano dimostrati sempre comprensivi, amichevoli, professionali e soprattutto molto qualificati. A volte ho desiderato che questo livello di confidenza ed equità possa essere adottato anche in Italia e forse un giorno lo sarà.

Durante questi quattro mesi, da agosto a dicembre, ho visitato l’intera isola di Oahu e quella di Kauai. Oahu è sicuramente la più importante tra tutte ed è anche il posto dove ho realmente lasciato il mio cuore, con la speranza di tornare un giorno. La bellezza dei posti è difficilmente esprimibile. Oahu è il luogo in cui le montagne hanno la forma di denti aguzzi e raggiungerne le vette non è sempre una passeggiata. È il luogo in cui l’oceano è a volte docile e accogliente, un gigantesco acquario naturale, e altre volte una feroce e minacciosa forza della natura che solamente i surfisti più abili possono domare.

Nella cultura hawaiiana c’è un immenso rispetto per la natura e la terra (‘Aina), considerata come una madre benevola, i cui frutti vanno condivisi. Questo è forse un aspetto che pochi turisti conoscono, ma che in realtà è percepibile in ogni angolo. Ovunque si è portati a fare del bene per l’ambiente, dal raccogliere ogni piccolo pezzo di plastica che si confonde tra le conchiglie al nuotare con le tartarughe e i delfini senza tentare di intercettare il loro cammino.

Ci sono due versioni delle Hawai’i, una conosciuta e una nascosta. Quella conosciuta è quella delle palme e delle ballerine di hula, delle camicie a fiori e dei costosissimi resort in riva al mare. I turisti conoscono e contribuiscono alla prostituzione della cultura Hawiiana, alla commercializzazione di danze sacre e di elementi che costituiscono un patrimonio umano non tangibile. Poi ci sono le Hawai’i sconosciute, le Hawai’i in cui troppo spesso mi svegliavo prima dell’alba per nuotare con i delfini e raccogliere ami e lenze sul fondale del mare. Le Hawai’i in cui il taro è l’alimento alla base della dieta quotidiana, le Hawai’i in cui ci si dimenticano le scarpe perché chiunque cammina scalzo.

Sono partita con la promessa che avrei conosciuto a pieno la parte non turistica, la parte più remota e genuina delle Hawai’i. Per questo, poco dopo essere arrivata ad Honolulu, ho voluto lavorare almeno per un giorno come volontaria nei campi di Taro (Kalo), per scoprire la cultura hawaiiana non solo nei luoghi, ma anche nel cuore delle persone.

La fortuna e l’impegno mi hanno dato la possibilità di vivere per quattro mesi nel luogo più bello al mondo, circondata da nuovi amici. In questo periodo non ho mai smesso di imparare, non solo in università, ma anche dalle persone che incontravo. Ho imparato ad amare la natura, a rispettarla per far sì che essa rispetti noi a sua volta. Lascio questo posto senza rimpianti, senza malinconia, perché so che tornerò.

* 21 anni, di Genova, studentessa della laurea triennale in Scienze politiche e delle relazioni internazionali (indirizzo Istituzioni e relazioni internazionali), facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano