Padre Mounir Khairallah è il vescovo di Batroun, nel nord del Libano. È uno dei più ascoltati consiglieri del patriarca maronita cardinal Béchara Raï, soprattutto per quanto riguarda i rapporti diplomatici. È inoltre un grande amico dell’Università Cattolica che, nei suoi viaggi internazionali, viene a salutare annualmente, incontrando il rettore, l’assistente ecclesiastico generale e molti docenti. Molto intenso il suo legame con la chiesa ambrosiana e con l’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini. Periodicamente scrive ai suoi amici sparsi nel mondo delle lettere sulla situazione del suo Paese. Nell'ambito dello speciale intitolato Apocalisse a Beirut, implosione di un Paese, pubblichiamo di seguito una parte di quella che ci ha inviato mercoledì 5 agosto dopo “l’apocalisse” che ha sconvolto Beirut e l’appello accorato del 3 agosto, in cui descrive la drammatica situazione sociale, politica, economica e morale in cui versa il Libano


di padre Mounir Khairallah * 

«Alla fine di questa lunga giornata e mentre Beirut continua a bendare i suoi feriti, grazie a un movimento straordinario di solidarietà dei libanesi (migliaia di giovani volontari sono arrivati in effetti durante la giornata da tutte le regioni del Libano) posso dire sospirando: abbiamo veramente bisogno di questa catastrofe per beneficiare dell’aiuto internazionale? Noi sappiamo che lo stato è bloccato a causa della classe politica corrotta e dei responsabili che fanno orecchie da mercante agli appelli di tutti i Paesi amici per iniziare le riforme. Vogliono davvero cambiare il loro comportamento? Vogliono abbandonare la loro politica clientelare? Non ne sono sicuro! Ma sono almeno sicuro di una cosa: che noi libanesi, forti della nostra storia, dei nostri legami di amicizia con tanti Paesi e popoli nel mondo, della nostra fede, della nostra speranza, della nostra solidarietà e dei nostri valori comuni, noi siamo capaci di ricostruire Beirut per l’ennesima volta e di ricostruire il nostro caro Libano, come lo volevano i nostri padri, un Paese Messaggio di libertà, di democrazia, di convivenza e del vivere insieme nel rispetto delle diversità». [5 agosto 2020]

[3 agosto 2020] La classe politica fa orecchie da mercante di fronte a tutti gli appelli alle riforme ormai diventate urgenti per far uscire il Libano dal baratro. I responsabili della politica si rimbalzano la responsabilità del collasso ma non si attivano per porvi rimedio.

La situazione non migliorerà a breve e i conflitti regionali e internazionali (fomentati dalla recrudescenza delle provocazioni tra Stati Uniti e Iran) non aggiustano le cose. Le dimissioni del ministro degli affari esteri Nassif Hitti scuoterà le coscienze dei nostri responsabili politici e provocherà un cambiamento?

Nel mezzo di questa tormenta il Patriarca Cardinal Béchara Raï ha alzato la voce. Nell’omelia del 5 luglio ha lanciato un appello in tre punti e ha stilato la tabella di marcia per costruire il Libano di domani, che si riassume nella proclamazione della neutralità del Libano, una neutralità attiva e impegnata. 

La cosa peggiore di cui non siamo testimoni oggi è che la maggior parte di coloro che si occupano degli affari politici non si preoccupano che dei propri benefici e interessi, indeboliscono la fiducia riposta su terzi condannando coloro che sono a capo di istituzioni costituzionali. Inoltre si sforzano di essere fedeli non al Libano, ma alle loro basi popolari e ai propri partiti. Così privano il Paese della fiducia dei governi arabi e internazionali, malgrado la convinzione dell’importanza del Libano, del suo ruolo, delle potenzialità e delle capacità del suo popolo.

Sembra che alcuni politici vogliano nascondere la propria responsabilità di aver vuotato le casse dello Stato e di non aver intrapreso la riforma delle strutture richiesta dagli Stati riunitisi nella conferenza di Parigi, detta «Cedre», nell’aprile 2018. Al contrario si sono accordati per spartirsi i benefici e i guadagni a detrimento del bene comune. Il livello di povertà, di disoccupazione, di corruzione e di debito pubblico non ha smesso di aumentare fino alla rivoluzione popolare del 17 ottobre 2019.

Arriva da qui l’accorato appello della popolazione:

1.    Ci appelliamo al Presidente della Repubblica perché lavori per togliere il blocco alla legalità e promuovere la libera decisione nazionale.
2.    Chiediamo ai Paesi amici di assistere il Libano come hanno fatto ogni volta che è stato in pericolo.
3.    Ci rivolgiamo all’Onu perché operi per ristabilire l’indipendenza e l’unità del Libano, applicare le risoluzioni internazionali e dichiarare la sua neutralità. La neutralità del Libano è la garanzia della sua unità e della sua posizione storica nel momento dei cambiamenti geografici e costituzionali. La neutralità del Libano è la sua forza e la garanzia del suo ruolo, tanto di stabilizzazione della regione e della difesa dei diritti degli Stati arabi al servizio della causa della pace, quanto nelle relazioni sane tra i Paesi del Medioriente, da una parte, e dell’Europa, dall’altra, in ragione della sua situazione geografica che si affaccia sul Mediterraneo.

Intanto coltiviamo la speranza che un giorno il Libano rivivrà nel suo ruolo di Paese oasi dell’incontro culturale, religioso e politico tra Oriente e Occidente e nel suo messaggio di convivenza. La nostra storia, che ha conosciuto conflitti molto più gravi, ci permette di sperare in un avvenire migliore. 

Al tempo stesso bisognerà sopportare la crisi sociale, economica e monetaria che ha conseguenze catastrofiche sulla popolazione e in particolare sui giovani. Il deprezzamento inedito della moneta (il dollaro vale 8.000 lire libanesi mentre a ottobre ne valeva 1.520), l’impennata dei prezzi, i licenziamenti su larga scala e le restrizioni bancarie sui prelievi e i trasferimenti all’estero, i tagli della corrente 24 ore su 24. Più della metà dei libanesi vive ormai sotto la soglia di povertà. Circa la metà della popolazione attiva è disoccupata. Tutto ciò sotto il peso insostenibile dell’accoglienza di un milione di rifugiati siriani e di mezzo milione di rifugiati palestinesi.

* Vescovo di Batroun (Libano)